SULLA LETTERA. Luigi Sasso

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Il fascino di una lettera consiste nel farci sentire il brivido, la forma rugosa della realtà e contemporaneamente la sua lontananza, la sua assenza. E’ un dialogo, ma un dialogo a distanza, in cui uno dei due interlocutori è sempre assente. Un dialogo che tra una voce e l’altra mette un intervallo, di spazio e di tempo.

Quando leggerai queste parole io non sarò più qui, non ci sarà quella barca ferma nel mare; questo sole, questo giorno saranno soltanto ombre, forme d’inchiostro.

Ci emoziona sempre leggere gli epistolari di scrittori, artisti ecc. perché leggendoli abbiamo la sensazione di penetrare meglio nel loro mondo, di confrontarci con le loro idee, di diventare, per un attimo, parte della loro vita. La lettera è una scrittura che conserva le tracce di un’emozione.

Le parole di una lettera non ambiscono a durare, si legano a una data, a un luogo determinato. Quando prendiamo in mano il foglio su cui quelle parole sono scritte abbiamo la sensazione di rivivere un momento, con la consapevolezza del suo essere irraggiungibile.

Le lettere sono pagine di diario che cercano una voce, uno sguardo, l’enigma di una relazione.

In ogni lettera, oltre all’esigenza di comunicazione, c’è il desiderio di un contatto, la ricerca di un corpo, di una traccia, della sua ombra. E nel contempo la lettera è la testimonianza di un distacco, il primo passo di una partenza, la forma della nostalgia.

Qui ogni parola è vera, come sull’intonaco una crivellatura.

La lettera è una scrittura che viene da un luogo marginale, segreto, è una parola che ha un viaggio da raccontare, che ha varcato un confine.

Nelle parole che fissiamo su un foglio di carta prende forma la ricerca di un dialogo, di un’altra voce, di una presenza che sappia leggere i nostri segni, le frasi strappate qui, ora, tutto il mondo di idee, di emozioni, di passioni che esse si trascinano dietro. Una lettera è questo. È una scrittura debole e insieme autentica, parole che si affidano a un foglio, che a volte vanno perdute, ma che si propongono come un frammento di esistenza, la traccia – direbbe Celan – di un respiro. Parole che appartengono a una lingua cancellata, divenuta ombra, caduta in oblio, ma che continua nonostante questo ad agire lanciando, a intermittenza, e altrove, segnali della sua vitalità. Formata dai detriti di un’esperienza, ogni lettera testimonia questa cesura, questa lontananza. E in fondo bastano poche parole per riassumere tutta la sua retorica: è il gesto – distratto, impulsivo – di un addio.

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Charles Baudelaire

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