AUTORITRATTO CON SPECCHIO. Dario Capello

Nota su CENTO LETTERE, di Marco Ercolani e Angelo Lumelli, edizioni Joker, I Libri dell’Arca, 2023.

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È questo un gran gioco di specchi, dove ognuno dei due scriventi, lettera dopo lettera, delinea più chiaramente, attraverso l’altro, i lineamenti del proprio volto. Per entrambi, Ercolani e Lumelli, accomunati dalla stessa passione per la scrittura, scrivere vuol dire discendere nell’ignoto di sé e del mondo. E chiarificarlo a furia di domande, metterlo a nudo. O infittirne il mistero. Comunque, una sorta di catabasi, con ritorno non sempre prevedibile. Incerta anche la decisione stessa di un ritorno, in compagnia delle inquietudini, “per cui tutta la vita è andare contromano” (nelle parole di Lumelli). Ma tant’è, o questo o niente. Ultimativo. Certo, non sempre il tono, la musica di fondo, è così solenne. Non sempre la temperatura è vicina all’incandescenza. Ad alleggerire la tensione, gli spasmi della mente, concorrono in queste lettere i riferimenti più occasionali, rivolti al quotidiano. È l’asse orizzontale: le trattorie genovesi, gli amici evocati e tirati in ballo, le ore della giornata trascorsa, le vite proprie e degli altri…

L’insieme che ne deriva è un ruotare di girandole, un caleidoscopio di figure, mentali ed esistenziali. Temi che circolano, si incrociano nei richiami, scompaiono, tornano ad incontrarsi. Come accade tra amici e con amici.

Solidali entrambi, pur da posizioni diverse, anime sorelle ma non gemelle, Marco Ercolani e Angelo Lumelli sembrano pervasi (…ma stavo per scrivere: invasi) dalla stessa “mania”, dalla stessa furia di arrivare a tu per tu con il limite e di dargli una forma “cercando la frase decisiva, quella che non troveremo”, come riassume Ercolani.

Esemplare a questo riguardo è il topos del limite e del confine, che circola più o meno sotterraneo per tutto il carteggio. Come già osservava Blanchot “la letteratura arriva sempre a un confine”. La parola letteraria si trova dunque sempre e da sempre in un “di là” difficile da collocare. Ecco che a pagina 92 di Cento Lettere viene a proposito uno scambio stretto, entusiasmante tra i due. Scrive Ercolani “il poeta va sempre fino in fondo. Ma è vero che va proprio fino in fondo?”. Risponde Lumelli “ se il poeta va fino in fondo? Va fin dove arriva – quello è il fondo per lui (… ) l’ultimo tratto lo fa la vita, da sola, muta”. Così la questione del limite si fa intrigante. Vertigine con misura?

Siamo di fronte a una delle tante riflessioni profonde, insistite, molecolari intorno al fatto poetico. Ma il libro non è solo uno spregiudicato “manuale” di poetica. Questo libro vuole interrogare a fondo, con giusto tremito e senza timore, il senso e il non-senso dello scrivere, la sua stessa pratica e l’ossessione che porta con sé.

Il topos del fondo. È questo il punto nevralgico delle questioni e degli interrogativi suscitati dal libro. Si potrebbe dire che Cento Lettere ruoti attorno a questo nucleo, con un’opera di aggiramento. Abbordare il tema da tutte le parti, sviscerarlo. A questo punto e a questo riguardo, voglio aggiungere la mia voce alla disanima.

Credo che il “fondo” in realtà sia una “frontiera”, ben custodita. Di lì non si va oltre. Per passare occorrerebbe una metamorfosi, un cambiare pelle, o meglio, detto con un termine che sa di antico, una metanoia, una svolta del pensare.

Tornando alle impressioni di lettura: il libro fa pensare a un duello di schermitori, dove ogni colpo è sponda per la giocata dell’altro. Affondo dopo affondo. Una scherma in punta di pensiero. Un’interrogazione martellante, tanto priva di risposte quanto capace di generare pensiero. Come un assedio della mente alla mente. Ma anche: sviluppo e progressione di una fuga musicale senza indicazione precisa del tema. Quindi contrappunto di due voci distinte (Lumelli, la sua “poetica del fuoco”, contro Ercolani “poetica dell’aria”) intrecciate e risonanti, a produrre vampate.

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