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Maurice Scève
Délie. Oggetto d’altissima virtù
I Libri dell’Arca, Edizioni Joker, 2023
a cura di Lucetta Frisa
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Dalla prefazione: “Délie, oggetto di altissima virtù. La poesia del desiderio”
Perché Délie, oggi? Perché tradurre un testo del 1544 (l’edizione definitiva è del 1564) intitolato Délie. Objet de plus haute vertu, composto da 449 poesie (dette dizaines, di dieci strofe l’una) costellate da cinquanta emblemi, scritto da Maurice Scève, massimo rappresentante della scuola poetica lionese? la risposta è un’altra domanda: perché un testo fondamentale della poesia francese del XVI secolo deve essere affidato solo alla memoria degli studiosi? Qui in Italia, in tempi più recenti, venne stampato solo in minima parte da Einaudi nel lontano 1975, per la traduzione di diana Grange Fiori […]
Queste dizaines raggiungono, come già sopra accennato, il totale di ben 449 poesie. scorrono sotto i nostri occhi con estrema scioltezza, i temi si rincorrono, tornano su di sé, con tutte le sfumature di un rapporto o discorso amoroso, fatto di slanci e ritirate, offese e pentimenti, sogni e speranze, intrecciate a riflessioni e osservazioni sull’amore, a volte prossime a una sorta di analisi psicologica ante litteram oltre a quella di un inquieto pensiero analogico. «le basi filosofiche sono chiare, ma la costruzione poetica le tradisce, come a dire che la filosofia sostiene l’ìntero canzoniere ma ne costituisce solo l’impalcatura…la materia di Délie intacca questo sostegno, lo devìa e lo oscura, lo piega ai suoi fini che non sono quelli della risoluzione filosofica bensì quelli della misteriosa interazione poetica (Jacqueline Risset)». ecco, in sintesi, il mistero Scève (quello indagabile e ricchissimo di stimoli per il lettore): concentrazione sulla lingua poetica, criptica ma all’apice della tensione, dalla forte impronta filosofica (affine alla poesia di quel secolo), più aspra e drammatica che lirica. In quanto alla traduzione non mi sono posta troppo il problema della fedeltà, a volte allontandomene quando il caso lo richiedeva. Il traduttore è sempre un traditore è vero, ma con una certa misura. Ho anche preferito riportare le dizaines, così come le aveva scritte l’autore stesso, nella lingua originale del XvI secolo. confesso di aver provato, nel tradurlo, piacere e meraviglia, ma ci tenevo a rendere la lingua d’arrivo più italiana possibile, cioè a far sì che questa antica poesia francese sembrasse genuinamente composta in italiano, in quel particolare nodo enigmatico tra anima e mente, tra cuore e pensiero. Assolutamente desiderante. come scrive Pascal Quignard di Délie: «Una parola breve e cancellata nell’aria. leggera – ma con tracce di sangue»
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Antologia
VI
Vivevo l’aprile della mia adolescenza
Libero e ignaro d’ogni male a quell’età
E il mio occhio inesperto d’ogni malanno
Sorpreso fu dalla tua dolce presenza
Che per il suo alto e divino magistero
Sbalordì l’Anima e la sensualità.
E coi suoi occhi l’arciere audacemente
A lui soltanto asservì la mia sorte
E da quel giorno ininterrottamente
Alla bellezza guidò mia vita e morte.
XIII
Un tempo l’occhio, mia luce gioiosa,
Dalla tua bellezza fu così umiliato
Che da fontana in fiume tramutato
Curare volle il male da sé nato.
Ché tanto ardore il cuore ha ricevuto
Che il corpo vivo già in cenere è mutato:
Da cui l’occhio pietoso fa i suoi rivi scendere
Ad impedire che la rapisca il vento,
In modo che qui metà di lei possa restare
E corpo o ombra di sua vita sembrare.
XXII
Simile a Ecate tu mi farai errare
Cent’anni tra le ombre vivo e morto:
Simile a Diana che in cielo mi rinchiuse
Per poi discendere nel terrestre ingombro;
Come sovrana delle infernali ombre
Attenuerà o esalterà mie pene.
Ma come luna infusa nelle vene
Quella tu fosti, sei e sarai DELIE,
Che Amor legò a questi sogni vani
E tanto forte che slegarla da me mai potrà Morte.
XLI
La vista, l’ascolto, la parola e il tatto
Furon lo scopo della mia contentezza,
Tanto che quel bene, così caro agli amanti
Mai ebbe luogo nel nostro avvicinarci.
A che valse il mio amarti onesto
Smarrendomi in un amore santo e casto?
Poi che mi è reso il male per il bene
E per dei vizi mi si può accusare,
Amando il bene, ho perduto insieme
La vista e l’ascolto, la parola e il tatto
