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I versi di Carlotta Cicci, in Grado zero (MC Edizioni, 2023), sono radici che si sterrano da una oscurità e fragilità/limite capace di farsi essenza luccicante. Una costellazione di parole in cui ciascuna parola si appropria e nutre del “polso che batte” di chi scrive, irrompendo così sulla carta con una densità aumentata. La parola è se stessa e il “polso che batte”, e rifiorendo come “polso che batte” si fa evento storico e fenomenologico, si fa grembo audace ed esplicito.
Ad ancorare poi la parola e il “polso che batte” alla sua storicità, al suo bruciante destino, è quel punto fermo così tenacemente cercato inseguito e inciso da Carlotta. Un punto che definisce e spezza i versi e che qui si libera, meglio viene liberato, dal suo ruolo di segno di interpunzione. Al punto Carlotta infonde un vigore ontologico che ne cambia ruolo e natura. Il punto si fa fecondo, si trasmuta in una struttura interamente linguistica, diventa quel soggetto capace di costruire strategie dialogiche nuove, di snidare aperture di senso.
Il punto misura ed è misura e col punto ci si misura. È progetto, il punto, e possibilità di progettarsi. Il punto oggettiva “l’inizio di un’alba rossa”, “i tulipani neri”, gli “occhi impetuosi” e le “menti pazze”. Oggettiva e al contempo riempie le lacune dell’essere, dell’esistenza, e conduce “al grado zero”, a quel grado in cui, scrive Carlotta, “ho posato l’umanità”.
E lì dove l’umanità viene posata la visione si fa piena, meglio si fa consapevole. Di cosa? Del fatto che tutto può essere vissuto e portato alle sue estreme conseguenze. Perché nel “grado zero” di Carlotta ciò che chiamiamo tutto è al contempo preghiera ed epifania, l’unico stato in cui ogni elemento, ogni frammento, ogni sensazione, possono convergere ed abitare. E non importa quale sia il tenore di questo convergere di frammenti e sensazioni, se ci sia tra loro armonia o disunione, importa che sia reso possibile, umanamente e linguisticamente.
Ed è questo che succede in Grado zero. Carlotta Cicci umanamente e linguisticamente riesce a far convergere essere ed esistente in ogni loro forma, perché Carlotta è in continua attesa e ricognizione e riesce a cogliere di essere ed esistente pluralità e policromia, ossia tutto il mondo che c’è e si dispiega in una vita (luce ombra dolore amore morte durezza io tu …) e nella parola.
con un peso diverso. i capelli rame.
le mani sottili. il collo della battaglia
e spalle con tante piccolissime ossa.
così io esisto. così io schianto.
