viaggi, nuovi orizzonti, visioni
Festival OUTSIDER ART, VIII edizione, Genova 6-8 ottobre 2023
a cura di Giorgio Bedoni, Sandro Ricaldone, Marta Morgana Rudoni

Opere di:
Pier Mauro Bisogno, Maria Callegaro, Egidio Cuniberti, Vojislav Jakic, Marina Junyent Mercader, Roberto Maini, Carlo Montesello, Vojkan Morar, Fabio Negri, Davide Mansueto Raggio, Melina Riccio, Maurizio Zappon (Zap), Sei artisti del Madf
con Claudio Costa, Beppe Delle Piane
catalogo De Ferrari editore
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Per l’alto mare aperto: titolo di un festival e di una mostra dedicata ad autori off-screen, radunati da una fortunata intuizione degli anni Settanta, sotto i vessilli dell’Outsider Art e oggi più che mai presenti sulla scena di un’arte contemporanea dove sono sempre più porosi i confini tracciati lungo l’asse dialettico insider/outsider. L’ottava edizione del festival è figlia di questo scenario e la mostra genovese apre a molteplici suggestioni letterarie nate sotto il segno del genio dantesco di fronte al volo avventuroso di Ulisse in ‘alto mare aperto’ attuale e contemporaneo, senz’altro affine alle visioni outsider, un viaggiatore che, per via di metafora, naviga ancora con l’antico sestante buono per rotte celesti, lontano dalle bussole tecnologiche e dalle comode mappe di certa arte del nostro tempo. […]
L’art Brut: l’Outsider Art, nei suoi migliori interpreti rimandano al pubblico un’arte che danza sui fili della storia, un gioco che obbliga a sguardi divergenti, a lasciare gli stereotipi del ‘folle’ e dell’’infantile’ per incamminarsi verso nuove prospettive, come era stato per le avanguardie quando lo sguardo acuto di Klee e di Kandinsky sui primordi dell’arte, sulla valenza atmosferica del segno infantile indicava poetiche inedite nel rinnovamento dei linguaggi…
(Da Per l’alto mare aperto di Giorgio Bedoni)
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PER ROBERTO MAINI. Marco Ercolani
Un intreccio fra arte e destino, oltre la ragione, è rappresentato da Roberto Maini (Genova, 1942-2016). Chi lo abbia incontrato per le strade di Genova non potrà facilmente dimenticarlo. Fallito ma non arreso, talvolta minaccioso, ostinato clochard che ora si accuccia su un gradino ora vaga a zigzag con un ombrello in pugno, sempre fra Piazza Campetto, Ponte Monumentale, Galleria Mazzini e Stazione Principe, Roberto Maini (il suo nomignolo era “golasecca” o “macchinetta”) sproloquiava, a voce alta e rauca, in mezzo alla gente, insulti, bestemmie, invettive. Di lui qualcuno sapeva che, in giovinezza, era stato pittore: il libro Liberarsi è stupendo. Opere 1973-2009 (Edizioni del Canneto, Genova 2011, a cura di Eugenio Costa, Titta d’Aste, Sandro Ricaldone), lo testimonia.
Roberto Maini esordisce nel 1967 in una collettiva intitolata “Situazione 67” allestita negli spazi della galleria “La Bertesca”, uno dei punti di riferimento per l’arte contemporanea, e di cui il pittore genovese è una delle prime scoperte, insieme a Claudio Costa, con cui condivide la sua prima “personale” nel luglio del 1969. In questo stesso anno è presente in una collettiva a Torino, nella galleria di Gian Enzo Sperone, e nel 1970 è invitato alla manifestazione internazionale sulla giovane arte italiana d’avanguardia organizzata a Lucerna da Jean-Cristophe Amman, il curatore svizzero che raduna tutti i protagonisti della allora emergente scena dell’Arte Povera, fra cui Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Griffa, Kounellis, Mattiacci, Merz, Paolini, Penone, Pistoletto, Prini, Salvo, Zorio. Dopo questo evento Maini si apparta da ogni circuito artistico, pur non smettendo di dipingere. La sua ultima personale risale al 1987 presso la Galleria Chisel di Genova, a cura di Enzo Cirone.
Oggi, al Festival genovese dell’Arte Irregolare, nell’ambito della mostra “Per alto mare aperto. Viaggi, nuovi orizzonti, visioni”, Maini conferma la classicità del suo astrattismo pittorico, parallela e antitetica alla sua vita squilibrata e distonica. D’altra parte, è proprio al confine tra insiemi eterogenei che la distinzione fra diversi e sani riesce a farci percepire ciò che è al di qua e al di là dello steccato, mostrandoci le produzioni degli artisti e degli psicotici nelle due differenti prospettive. Certe incursioni nell’altro da sé, come quelle caldeggiate da Nietzsche, che vede nella follia uno stato da ‘volere’ per penetrare nei “Regni dell’Irreale”, coincide con l’esperienza di John Perceval, il quale afferma che non avrebbe potuto ritrovare la salute con una condotta sana. La follia o lo stato di salute mentale non sono questione di volontà. Se “Il matto non gioca mai”, “l’artista gioca sempre”, se Il matto sprofonda irreversibilmente nelle proprie immagini psichiche, se la sua è una follia senza ritorno, ciò che resta è comunque l’opera che mette alla luce: in questo caso gli acrilici su carta di Roberto Maini, visioni variopinte e apocalittiche, nel segno dell’amato William Blake, che il pittore restituisce con evidente grazia formale. Ma la vita lo rapisce nel caos di una esistenza irregolare dove non c’è più spazio per ritrovare un’altra e più rigenerante vita. Il dolore psichico è brutale: brucia metafore ed analogie. Ma, a dispetto di questo, “prove” della sua arte restano sempre perché, come scrive lo stesso pittore, “nell’arte voglio parlare dell’amore e della vita”.
Possiamo supporre che nessuna follia, in sé, produca una qualche opera: ne è però il substrato, il materiale primario, e l’artista il cavo conduttore attraverso cui l’energia dell’atto creativo può tradursi in forme intellegibili. Certi eccentrici destini di artisti, culminanti nella malinconia, nella schizofrenia, nell’isolamento, nella morte violenta, sono comprensibili nel momento in cui l’arte è vissuta come un ‘pensare oltre’, che provoca la vita oltre i limiti della sua percezione. Compito dell’artista è avere a che fare con quanto di non prevedibile e di non apprendibile ci mostrano le emozioni; suo dovere è difendersi dalle due realtà sostanzialmente opposte della follia: il silenzio e il delirio. Il silenzio assoluto è inservibile: occorre quello relativo, sostanziato dalla materia delle opere. E il delirio è una strategia personale, ormai cristallizzata, da cui è necessario prendere le distanze per trovare forme espressive condivise. L’opera vive in quello spazio in cui tradire il silenzio è necessario quanto non essere succubi di un’allucinazione. Per Roberto Maini l’allucinazione ha prevalso sull’opera, ma non del tutto. Se la follia è il perturbante che non può venire alla luce, la necessaria e invisibile radice dell’umano, ci si augura che l’artista possa e sappia, anche per un tempo breve, godere di una “follia regolata”. Come suggerisce lo stesso pittore, “Liberarsi è stupendo”, ed è più facile, forse, del sentirsi realmente libero.
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