LETTERA AL PADRE

Uno dei registi più amati del cinema francese degli Anni Trenta è Jean Vigo (1905-1934), autore di un crudele e grottesco documentario, A propos de Nice, di un poema sull’infanzia e l’eresia della libertà, Zero en conduite, e del lancinante e trasgressivo Atalante, paragonato per la sua carica erotica ed eversiva ai capolavori di Rimbaud e di Céline. Celebre è la scena, sigla del televisivo “Fuori orario”, in cui il protagonista, Jean, nuota sott’acqua cercando la sua amata come si cerca la figura di un sogno. Le “ultime righe” scritte da Vigo non riguardano però il suo cinema, ma la misteriosa e fiera figura del padre, Eugène Bonaventure de Vigo (l’anarchico Almereyda), ucciso in carcere, la cui infelice vita è matrice dell’opera eretica del figlio.

L’Atalante

Zero en conduite

**

1 gennaio 1934

Ho meno di trent’anni e sono mezzo morto per la tosse che mi strema. Ma la forza l’ho trovata. Ho filmato Jean, che nuota sotto il fiume e rivede la donna che l’ha abbandonato e scopre il suo fantasma che ride sotto le onde, lucente e imprendibile; ho girato l’Atalante, l’ho immersa nelle stagioni del fiume, perché l’acqua mi lavasse tutto prima della morte, mi levasse dagli occhi, padre mio, il ricordo del tuo corpo giovane e decrepito, malato al ventre e ai polmoni, strangolato nella cella numero 14 di Fresne con i lacci delle sue scarpe da due secondini francesi, dopo l’ultimo sciopero. Ho girato l’Atalante perché tu potessi essere ancora vivo: la musica che Michel Simon fa uscire dal suo misero grammofono è la stessa canzone che mi facevi sentire da bambino, in un viaggio d’inverno a Marsiglia, e canticchiavi felice, quando avevamo i soldi per mangiare e io correvo con la mamma nei campi, respiravo l’aria a pieni polmoni, non pensavo alla tosse che oggi mi soffoca…

Tre mesi fa, proprio a Marsiglia, ho visto Un cane andaluso di Bunuel e l’occhio della donna, tagliato dal coltello, mi ha fatto capire che per troppi anni troppi occhi hanno guardato il mondo senza sanguinare per le sue innumerevoli ferite. La stessa notte, alla luce intermitten­te di un faro, scritte con vernice rosso-fiamma su un muro puzzolente alla periferia del porto, ho scoperto queste parole: «Tagliamo l’occhio del padrone. W l’anarchia. W la rivoluzione».

Un bacio a te, Almereyda, padre mio, anarchico. Jean

Jean Vigo

*Il testo è tratto da: Marco Ercolani, A schermo nero, QuiEdit, Verona, 2010.

Lascia un commento