FRANZ GRÜGER

È perché non ho paura della verità che ho la curiosità dell’essere umano, che faccio la figura di un grande realista. […] Dal primo giorno delle riprese mi metto alle spalle dei miei personaggi e lascio che la cinecamera gli corra dietro». Con la consueta fermezza Roberto Rossellini si allontana dall’”aura” dell’autorialità anche contro i suoi grandi contemporanei, da Visconti a Fellini. Germania anno zero, con la sua chiarezza violenta e inflessibile, concentra la poetica del regista in poco più di sessanta minuti, come spiega lo stesso Rossellini in questa dichiarazione datata 1961.

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Si potrebbe dire che Germania anno zero non è neppure un film. Dura un’ora. Racconta la vita di un ragazzo che avvelena il padre perché sorella, madre, fratello, gli ripetono che è un vecchio malato e non ci sono soldi per assisterlo. Il ragazzo lo elimina perché così gli intimano due violenze: la guerra e la famiglia. Poi, sconvolto dal rimorso, si toglie la vita e si getta giù da una casa in macerie. Quello che ho voluto è ridurre all’osso. Berlino, come città devastata dai bombardamenti, mi serviva a questo. Volevo raccontare una tragedia senza nessuna emozione, come un documento. Quando il ragazzo viene insidiato da un vecchio pedofilo, lascio parlare solo il corpo, viscido e vestito di bianco, che gli si accosta. Non insisto sui dettagli. Il ragazzino ha una faccia dura, non simpatica. È biondo, è tedesco. La sua morte non causa particolari empatie. Gioca in una casa in rovina, guarda dall’alto che portano via il cadavere del padre. Poi di colpo si butta nel vuoto. Questo è tutto. Né i melodrammi di Visconti né i capricci di Fellini né i silenzi di Antonioni. Io non sono neppure un regista. Sono uno storico. Ma i miei brutti film cercano una strada, non una compiacenza estetica. Una strada che li renda tappe reali. Il realismo è l’anno zero del racconto. Tutto ricomincia, anche da un suicidio, ma non dalle turbolenze dello stile o dai vezzi degli autori. Ricordo il nome del giovane attore: si chiamava Franz Grüger.

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