PER “RAREFAZIONI”. Gisella Genna

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Un libro come Rarefazioni (Italic PeQuod, 2023) di Gisella Genna, induce a una riflessione che già Elio Grasso propone nelle pagine introduttive. Questa “rarefazione” non è un simbolo di fragilità o di dissolvimento: è una via che esige il suo senso. «Ogni lettera si trasforma in figura che vale la pena offrire al lettore, l’oggettività è ancora presente, tanto che “rarefazione” non è un tragitto verso l’inconsistenza, ma il farsi largo fra l’inutilità imperante» (Elio Grasso). La voce del poeta è precisa come uno stacco musicale che si imprime nella memoria del lettore: «È linea di confine il larice – / il contorno cade, nell’estate / singolare, declina il suono / in rovescio di laghi. / Accade nel bosco la pazienza, / pietas nel pensare / cosa sono dunque gli uomini». Ogni poeta ha la precisa sensazione di abitare in una comunità dove ogni abitante rappresenta il dolore della caducità terrena nella sua versione, cercando parole che vivranno oltre la sua morte, trascrivendole su fogli di carta, su terreni sabbiosi, dentro lo schermo del computer. Siamo di fronte a un “atto di resistenza”, come suggerisce Gilles Deleuze. La resistenza è l’atto in cui la vita si oppone al “destino della vita”, che è quello di perire, e racconta l’insopportabile assenza della morte con parole che non vogliono mancare ma restare eterne. È un’eternità che non assume mai il valore del monumento egoico o della fede ultraterrena ma celebra, laicamente, lo sparire dell’uomo da questo pianeta, una sparizione fatta di segnali che ne parlano, un morire composto di segni che restano – uniche, sole, determinanti consolazioni. Il dolore della fine viene evocato da parole che, descrivendolo, lottano contro qualsiasi idea di fine, creando e ricreando l’illusione della presenza. «Mi tieni nella direzione / – frontiera alta della negazione – / all’alba nei campi vagante, / dominio dell’assente». Ogni poeta condivide lo stesso destino: circoscrivere la sua illusione di esistenza dentro uno schema di parole, opponendo alla disillusione del dissolvimento le tracce inequivocabili di quella presenza, il suo lavorare con ostinazione ossessiva a questo tema. Come osserva Danilo Kiš: «E tutto ciò che sopravvive al nulla è una piccola, vana vittoria sull’eternità del nulla». Ma il poeta, augurandosi una precaria immortalità, è sempre insoddisfatto di quello che fa, travolto dal costante lavorìo sotterraneo dell’”essere” delle parole contro il “divenire” della vita che muore. Se ogni poeta cerca la sua voce, per individuarsi dal nulla, la sua voce, necessariamente, deve sottrarsi alla cifra dell’individuazione perché “tormentata dall’infinito”, come Il Bardamu celiniano del Viaggio al termine della notte: «L’affondo del reale, il nostro freddo / – la parola si fa marginale, / sfioramento senza peso dei corpi. / Resa del tronco spezzato / nell’aria di gennaio – / se solo riuscissimo a credere». L’intimità di questa poesia è un felice slancio ascensionale che convive con una vertiginosa familiarità, dove anche l’incontro amoroso, rifranto nello specchio, è una tenue scena onirica: «Ti aspetto sul ponte mentre la gente avanza / freneticamente nei boulevard. Torno sempre / nello stesso albergo – le stanze occupate / insieme a un tu diverso. / Nello specchio del museo Rodin / eravamo in due».

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Antologia

Ripetere infinitamente il lancio

adagio, adagio

su dune di un paesaggio anteriore

– posare sguardi d’agata nel sole

bianco d’Itria.

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Siamo corpo nell’ascolto,

una sola eco.

Scenda come divinazione,

scorra fluviale luce. Luce.

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Linee dello sguardo –

cantando l’eco dei ricordi

essere più in là, lievemente,

in adamantino esserci.

*

Dalle alture scarne in Ladakh

spogliarsi è l’ultimo cammino, I

Ishvara nome divino,

sole che governa la mente.

*

Continuo a vedere le finestre in cortile riflesse nella mia, le tende scolorite dal sole e qualche

pianta di aromi sui davanzali. In viaggio verso casa sfilavano le abitazioni dei paesi di

provincia. Gli indumenti messi ad asciugare, svuotati della presenza. Mi sono stesa dall’altro

lato del letto e ho guardato quello che vedevi tu. Ho guardato con i tuoi occhi.

*

Ti aspetto sul ponte mentre la gente avanza freneticamente nei boulevard. Torno sempre

nello stesso albergo – le stanze occupate insieme a un tu diverso. Nello specchio del museo Rodin

eravamo in due.

*

Gli anni addensati. Una porzione di sfera che pare scivolata via nel cosmo antico. Non abito

più qui, dove il ricordo sfugge ed era luce da un solo lato, né bianco né oscuro: lontano.

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Gisella Genna è nata nel 1973 a Milano, dove vive e lavora. Giornalista e docente, si occupa di moda. A marzo 2020 è uscita per “Interno Poesia” la sua prima raccolta in versi Quarta stella. Si sono occupati della sua poesia blog letterari e riviste cartacee e online tra cui: “La Lettura – Corriere della Sera”, “Repubblica”, “Atelier”, “La dimora del tempo sospeso”, “Carteggi Letterari”, “Il Rifugio dell’Ircocervo”, “Rai Poesia”, “Inverso”, e altri.

Gisella Genna

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