Mario lesse una mia poesia su fb. La ricordo bene. Una lirica in settenari sullo sputo di un ragazzo in sede di seggio elettorale. Gli piacque. Mi contattò e mi invitò a scrivere a piacere sulla sua pagina. Ci scrivemmo. Fu un giorno di festa. Andavo matto dei morti di Umana Gloria, che erano esattamente i morti di San Mauro e della mia infanzia. Fui felice. Ma poco dopo seppi che era finito in ospedale e, non riuscendo più a sopportare il suo tempo, morì.
Umana Gloria è il più bel libro di poesia scritto tra il 1990 e il 2023.
C’è il menefreghismo stilistico del vero poeta Mario: né scuole né adepti. Era legato ai suoi mostri, ai suoi morti. Come un bambino. Quei morti che lui, successivamente, per amor di estetica, vide nelle “Pitture nere” di Goya, contemplandovi all’interno lo stesso “inabissabile” che vi ravvisò Baudelaire. E vide i cadaveri di mamma e papà attraverso i cadaveri e gli ossari di Zoran Music. Fino alla depressione. Il terzo e ultimo libro, Tersa morte. Quella morte inevitabile ma “tersa”, senza compiacimenti, né letteratura ne estetismo né usi figurati della lingua che non fossero quelli fabbricati dalle smanie di allucinazione proprie della malinconia depressiva. Il suo libro di brevi prose, Materiali di un’identità, contiene stupende riflessioni su Michelstaedter: pietà, Salvia e l’Eros come dépense in Bataille. Ascoltava il metal, i Rammstein. Come facesse, continuo a chiedermi. Gli voglio bene ma non l’ho mai incontrato. Gli sconosciuti a cui voglio bene superano in quantità parenti e conoscenti. La mia famiglia sono stati i libri che ho letto. Amelia era la matrona, Celan il re, i russi gli amici nomadi, i romani gli amici attraverso le cui opere ho potuto fare chiarezza nel groviglio indistricabile delle mie deviazioni.
Mario è morto di una morte trasparente.
17/07/23, 20:50

Mario Benedetti (fotografia di Dino Ignani)
