Accadimenti di Maria Laura Galviati è un libro di racconti edito dalle edizioni Gattomerlino nel 2021. L’autrice, nata a Napoli nel 1994, ha studiato filosofia, teatro e cinema. Si è laureata a Londra nel 2017 e sta proseguendo gli studi preso l’Università Tor Vergata di Roma. Lavora come filmmaker e questo è il suo primo libro.
Accadimenti si compone di cinque racconti: Il fantoccio, Un’attesa. Il risveglio, Sul campo di battaglia, Una partenza inaspettata, ed è corredato da una postfazione di Piera Mattei dal titolo Sole d’infanzia.
Il lettore è sorpreso da quella che Mattei definisce “ambigua ricchezza” delle narrazioni. I temi sono efficaci, perturbanti. Il fantoccio è una variazione al femminile condotta sul filo della Metamorfosi kafkiana: una ragazza, che si trasforma in pupazzo di stoffa, vorrebbe fissare l’orizzonte dalla finestra, ma come pupazzo inerte subirà cadute e mutamenti di posizione, e non potrà realizzare quel desiderio; alla fine dal padre verrà, con rassegnato dolore, riposta in cantina, dentro un sacco di plastica nero, come un giocattolo inerte. «A Marta non riusciva di vedere più nulla: la plastica era troppo spessa per distinguere le forme oltre la sua superficie. Il padre appoggiò il sacco nello spazio che raccoglieva altre scatole di piccoli oggetti e chiuse la porta». L’angoscia essenziale della storia – voler diventare oggetto inerte e privo di vita – è affidata a un bigliettino che lei stessa scrive “Su mia richiesta”, come a dire: io sola sono responsabile di quello che mi accade, solo io voglio diventare cosa. Uno stile tenue, lento, descrittivo, rende questa metamorfosi ancora più incisiva e dolente per il lettore. Ma anche gli altri racconti reggono l’intensità del racconto iniziale: la scrittura si muove in una atmosfera di realismo magico, di fantascienza “interiore”, non estranea a percezioni visionarie del corpo e dell’essere che ci riportano a Woolf, Lispector, Ortese, Dolores Prato.
Maria Laura si ritaglia una narrativa libera, incantata, sfuggente, dove anche l’identità di genere è al confine, e la voce narrante può essere maschile come femminile. Tornano temi abituali e antichi, come il “doppio”, ma declinati in modo originale. In Il risveglio il protagonista dice: “Io vengo da un’altra galassia: ecco il mio segreto, e finalmente me ne libero”. E poco dopo: “Mi sono svegliato nel corpo d’un giovane uomo, non saprei dire se bello o no, che somiglia indicibilmente a quello in cui vivevo fino a poche ore fa”. Leggiamo, in questo breve libro, storie “ai confini della realtà” che hanno in comune una loro misteriosa e fluttuante inadeguatezza alle leggi del vivere comune. Piera Mattei nota: “Può essere eccessivo connotare questi racconti con l’aggettivo di filosofici?”. No, non è eccessivo. Questi “accadimenti” sono collocati in un mondo simile al nostro, ma dove è vivissima la percezione di un mondo altro, una percezione “trasformata”, dove le sensazioni psichiche vengono modulate in apologhi narrativi. I personaggi hanno l’evidenza di fantasmi ma portano sempre con sé una loro necessità tutta umana di esprimere, come nel racconto Sul campo di battaglia, che ci sprofonda in un personale “deserto dei tartari” di impronta realmente buzzatiana. “Gira voce che la fortezza del distretto verrà irrobustita una volta ancora. Verrà un’epoca in cui le città consisteranno di sole fortezze, e avranno un nucleo abitativo appena visibile. Ma saranno state fortezze necessarie”. A questa progressiva militarizzazione di un esercito senza nome corrisponde la descrizione di armature lucide, deposte sui letti dei soldati, armature fatte di aghi acuminati che, una volta indossate, aderiranno alla pelle nuda. Adriano Serra, protagonista del racconto, si rifiuta di indossarla e viene trascinato via, forse giustiziato.
In tutti i racconti la voce narrante evoca cose o terribili o indicibili, ma senza un eccesso di metafore, come se la scrittura scorresse su nastro. Nel racconto finale, Una partenza inaspettata, dove “il doppio infantile come coprotagonista della storia è un personaggio irresistibile e in ogni senso luminoso” (Mattei), si parla di uno spiritello, di un giardino, di un sole piccolissimo, e, nella pagina finale, scrive Maria Laura: “Fui sommersa dal silenzio, sollevai la testa dal buio infinito della sacca. Spalancai gli occhi sul paesaggio: gli alberi che avevo intorno erano alti poco più di una spanna; arrivavano appena all’altezza di una margherita, o di un dente di leone, ma gli stessi fiori erano poco più che puntini, nascosti tra la moltitudine sfrigolante di fili d’erba”.
Forse qui possiamo intravedere uno dei segreti di questa scrittura: la tessitura meticolosa di una trasformazione, di una richiesta di comprensione e d’amore che però non percorre vie lineari ma traccia un obliquo percorso che sarà il lettore a dipanare, trovando ulteriori significati a queste favolose, allarmanti, tenere e crudeli fiabe di un divenire psichico.
(M.E.)

