DISTANZIAMENTI, 2. Alina Rizzi

Disegno il perimetro quadrato

del giardino che rinasce

tra siepi scomposte

fiori spontanei

l’erba tenera di marzo.

Misuro i passi nel sole

uno dietro l’altro

quel tesoro inaspettato

che ora sembra invidiabile

dalle finestre più alte.

Non hanno notato

che misuravo già da anni

in tempi non sospetti

il recinto rigoglioso

scavando buche con le unghie.

**

Non verranno a suonare

neppure oggi

neppure domani

preferendo non rischiare.

Ligie al dovere cercano il danno

che sospettano ovunque

anche nel sole e nel vento

in cui le attendo impietrita.

Ma lasciarsi catturare

è ancora un disonore

non cedo non lo accetto

combatto sola e ammutolita

per quel diritto negato

mascherato e furbo

che non sento letale

quanto il deserto dilagante.

**

Ho lavorato anni per un abbraccio

che apparisse spontaneo

anche da parte tua

ed è bastato un comunicato stampa

di un sabato alle diciotto

per dividerci senza appello –

ora puoi mascherare col rispetto

quella prudenza ossequiosa

che non ho mai condiviso

ma che rispetto

non più umiliante

appena accenni il gesto

di ritrarti a testa bassa.

**

Quanto tempo regalato

per osservare le ombre

dietro gli occhi chiusi

per ascoltate il vento

nel sole di aprile

e respirare sdraiata

traboccante di niente –

non fosse per le sirene

che si conficcano d’un tratto

aghi nel petto

trascinando al buio

il tempo di un altro.

**

Resisto alle parole

un canto di sirene

per non scoprirmi

in difetto di vita

per non perdermi

i fatti salienti

quelli che dimentico

vergognandomi

appena riapro il quaderno.

**

Un distanziamento di anni

una piccola morte

ricordando il piacere infinito

all’infinito – regolarmente –

coltivando l’attesa

in un rito scaramantico

quel profilo dietro gli occhi

chiusi – nel respiro sospeso.

**

Benedetto il virus della distanza

che ha giustificato il ritorno

a piedi scalzi e la

pelle sdrucita

adducendo pretesti –

la vita che si sfila dalle dita –

ormai superflui.

Benendetto il virus della pazienza

che falcia a migliaia

ma ci ha trovati ancora eretti

più deboli e persi

più tristi e nervosi

ma senza volti da piangere

oltre i nostri rigati dal tempo

sotto il blu della maschera.

**

Un anno dopo esatto

torna il rosso separazione

ferita ancora fresca

che spurga nuovo sangue.

Vita che si dibatte

che si assembra rabbiosa

per sopravvivere un’altra primavera

e non sentire

non sentire

altre sirene ordini prescrizioni

state a casa! – col megafono

alle due del pomeriggio

paralizzati nel sole

immobili sotto gli alberi

che fioriscono di bianco

a dire basta

a dire resisteremo

ma senza crederci davvero

perché la terza volta

non ci si riesce più

si lascia andare

si annuisce al cielo terso.

***

L’autrice, come attraverso le pagine di un diario interiore, guarda il suo dolore – a cui non è necessario dare un nome preciso – senza ritrarre lo sguardo, con sconsolata e spesso sarcastica amarezza. E se “A volte scrivere / è una maledizione” è proprio l’atto di scrivere (o solo di leggere libri) a mitigare le delusioni, a raccogliere la sfida del vivere, a dare un senso anche provvisorio alle pene sofferte: «…I libri / più del pane quotidiano / desiderava e non venivano / incistati tra la carne e i nervi». Un’osservazione, obliqua ma utile: il tono del libro è musicalmente una mezza voce, un parlato mai troppo lirico, una prosa intonata che non corteggia una lingua sperimentale e si sottrae a strategie linguistiche sofisticate o versificazioni erudite («Meritare l’oblìo / quieto e arreso / senza spigoli acuti / dove lasciarsi accadere»): si limita a trattare con sprezzatura e fermezza la materia ovvia e brutale della sofferenza esistenziale, il “lavorìo incessante della sopravvivenza”. Nel suo trattato di poetica e di retorica, Del sublime (“Perì Ipsous”), Longino parla della “adeguatezza” del mezzo espressivo come della forma necessaria di persuasione del discorso. Alina Rizzi, nella sua poesia minima e sgomenta, brusca e senza appigli, resistente e spezzata («Poi le mani, le lettere interminabili, i libri migranti») trova questa “adeguatezza” nel tono della sua voce, nell’esercizio lucido di una scrittura breve. (M.E.)

Alina Rizzi

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