DAL DONO AL FURTO: Colombo, Fitz

Dal dono al furto

di Francesco Colombo e Maria Rosa Fitz

Dal dono al furto*

Si passa dalla metafora del dono alla metafora del furto. Nell’eden, tutto veniva donato: tutti gli alberi, tutti gli animali, perfino la donna. La pienezza era insopportabile. Ma questa situazione perfetta si reggeva e faceva perno attorno a una mancanza: il divieto della conoscenza. L’uomo veniva mantenuto nella condizone infantile. Per uscirne, bisognava trasformare il dono in furto, e vincere il terrore della morte. “Non morirete affatto” assicura il serpente: ecco la forza del desiderio di vita che sopporta la contiguità con la pulsione di morte.

Nei miti etnologici, e anche nel mito prometeico, oggetto classico del furto è il fuoco. Il fuoco è una prerogativa divina, e dev’essere sottratto agli dèi (spesso viene custodito negli alberi). Come vedremo esaminando il mito di Prometeo, non sarà assurdo paragonare il fuoco alla generazione (in molti cerimoniali del folclore il fuoco era considerato simbolo e agente di fecondità). La generazione costituisce un furto, usurpazione di una prerogativa divina: ma solo dal momento in cui è intenzionale; cioè dal momento in cui anche l’uomo è consapevole di procreare. Da quando Adamo coglie il frutto insieme ad Eva. A quel punto, l’eden si trasforma in genesi, il tempo divino in tempo umano.

La generazione – necessaria – rinnova la memoria di Adamo e gli ricorda d’esser stato Caino e di avere ucciso. Eva, infatti, la madre (divenuta prima figlia nel rovesciamento paradossale) era anche madre dell’altro. Che significa ciò?

Se manteniamo la metafora dell’eden come condizione uterina, possiamo vedere questa “pienezza” situarsi tra due separazioni o mancanze. La prima è la separazione del concepimento: la vita germoglia da infinite possibilità che cadono nel nulla. La seconda è la separazione definitiva della madre: il disastro della nascita (la cacciata dall’eden). Possiamo quindi vedere la gravidanza (o l’analisi?) come elaborazione del fantasma del fratello morto?

Un mito bellissimo ci viene in aiuto. È un mito della Micronesia, e parla di un essere onnipotente, Putan, che con l’andare del tempo si sentì prossimo alla morte. Allora chiamò la sorella, Fuuna, che come lui era una creatura primigenia, non generata. Le diede, morendo, precise istruzioni: dai suoi occhi dovevano nascere il sole e la luna, dal suo petto il cielo, dal dorso la terra, dalle sopracciglia l’arcobaleno.

Fuuna eseguì i suoi precetti e così fu creato il mondo

Qui non assistiamo a un omicidio originario, ma comunque a una morte, la morte del fratello. La sorella crea il mondo dal suo corpo e lo popolerà poi di uomini e donne simili a lei e a Putan. Non potrebbe essere meglio espressa la nostalgia di una totalità originaria vista come rispecchiamento di due esseri fraterni, e il mito della creazione come elaborazione di un lutto primario.

I testi sono tratti da L’omicidio necessario. Rivisitazione di un archetipo: Caino, Orfeo, Prometeo (Danibel, 1993).

Francesco Colombo e Sonia Marchi

Francesco Colombo (Genova, 1946-2016). Allievo di Sivia Montefoschi, è stato uno psicoanalista junghiano. A Genova ha diretto il Centro Ricerche di Psicoanalisi e l’Istituto di Formazione psicoanalitica a indirizzo analitico. È stato direttore culturale della rivista psicoanalitica “Fanes” (5 numeri editi dal 1989 al 1991). Nel 1993, con Maria Rosa Fitz, pubblica L’omicidio necessario. Rivisitazione di un archetipo: Caino, Orfeo, Prometeo, per le edizioni Danibel editore.

Maria Rosa Fitz è analista junghiana e ha partecipato, con diversi articoli, alla rivista “Fanes”. Nel 1993, con Francesco Colombo, pubblica L’omicidio necessario. Rivisitazione di un archetipo: Caino, Orfeo, Prometeo, per le edizioni Danibel.

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