LA STUPIDA GENESI DEL PENSIERO. Paolo Vignola

Paolo Vignola

Uno degli aspetti più chiarificatori e incisivi dell’interpretazione che Deleuze ha offerto del pensiero di Nietzsche risiede nella critica radicale della teoria della conoscenza, ed in particolare del principio della verità, in favore dell’originarietà e della superiorità filosofica del senso e del valore. Tale è del resto la portata anti-metafisica, agli occhi di Deleuze, della genealogia nietzscheana. Un elemento invece più propriamente originale della lettura deleuziana è rappresentato dall’intenzione di promuovere gli oggetti e le qualità, a prima vista morali, della genealogia e della teoria delle forze attive e reattive, sul piano trascendentale: violenza, crudeltà, potenza, forza, genialità, bassezza, décadence, follia e persino stupidità raggiungono lo statuto trascendentale, poiché concorrono tutte alla genesi del pensiero – almeno nella teoria deleuziana dell’empirismo trascendentale, centrata sull’eterogenesi del pensiero, ossia sulla violenza del segno che letteralmente spinge a pensare.

È in tal senso che il pensiero, per Nietzsche e ancor più per Deleuze, ha sempre e di diritto a che fare con la stupidità e la ragione risiede nelle forze che, necessariamente e in continuazione, lo plasmano e che possono determinarne l’altezza o la bassezza, vale a dire la potenza plastica, creatrice, o la debolezza intrinseca; in altre parole, il pensiero creativo, affermativo, o quello stupido e meschino. Si tratta di forze, forze attive – dunque plastiche e propositive – e forze reattive – ossia decadenti e ammorbanti –, in antitesi tra loro che, pur esterne al pensiero, lo spingono e lo indirizzano verso il raggiungimento delle verità che a loro competono: i valori vitali, da un lato, e gli ideali ascetici e trascendenti, dall’altro lato. Ora, per quanto la tematizzazione delle forze, attraverso la loro differenza e la loro opposizione, sia spesso messa in evidenza da Nietzsche quale motore concettuale della propria prospettiva1, dobbiamo in realtà a Deleuze l’estrinsecazione più chiara della stupidità come bersaglio critico della filosofia nietzscheana e, al tempo stesso, grimaldello per scardinare le serrature logiche della verità; perciò è utile richiamare l’interpretazione offerta dal filosofo francese:

La stupidità, che è una struttura del pensiero come tale e non un modo di ingannarsi, esprime in linea di principio il non-senso del pensiero; essa quindi non è né un errore né un ordito di errori. Vi sono pensieri imbecilli, discorsi imbecilli che sono costituiti per intero da verità: ma si tratta di verità basse che provengono da un’anima bassa, grave e pesante come il piombo. Un modo di pensare basso è ciò che sta al fondo, ciò di cui la stupidità è sintomo, ed esprime di diritto la condizione di uno spirito dominato da forze reattive. Nella verità, come nell’errore, il pensiero stupido rivela soltanto la più grande bassezza, le basse verità e i bassi errori quali effetti del trionfo dello schiavo, del regno dei valori meschini o della potenza di un ordine consolidato2.

La stupidità, allora, piuttosto che essere un modo di ingannarsi, il segno di un errore esterno al pensiero che invece vorrebbe dirigersi verso il Vero, fa parte integrante del pensare e rappresenta la debolezza del senso che un pensiero basso, dominato cioè dalle forze reattive, può veicolare. La stupidità, in sostanza, è il sintomo di un modo basso di pensare e descrive la situazione in cui il pensiero non raggiunge o perde la propria individuazione, in cui, per dirla con Bernard Stiegler, si dis-individua, ossia fallisce, regredisce o, comunque, resta in ritardo rispetto a quel che accade3.

Se, per il Deleuze di Differenza e ripetizione, il pensiero filosofico pensa in termini di differenza e a partire da essa, il pensiero stupido letteralmente non sa che farsene della differenza o, addirittura, non riesce nemmeno a coglierla: «La stupidità non è il fondo né l’individuo, ma proprio il rapporto in cui l’individuazione fa salire il fondo senza potergli dare forma»4. Come avverte Eleonora de Conciliis, che da diversi anni riflette su tale argomento, «la stupidità indica il modo in cui un individuo umano fallisce nel proprio sforzo di dare forma – di differenziare – il fondo opaco dell’essere»5.

Eppure, Deleuze, sviluppando in modo formidabile e a volte un po’ forzato la prospettiva nietzscheana, offre alla stupidità uno statuto trascendentale, e precisamente quello di condizione di partenza del pensiero che, a fronte di una violenza subita dalle forze che veicolano i segni sul quale esso si poggia, e di uno sforzo sempre necessario, può giungere a pensare la differenza al tempo stesso come il suo autentico cominciamento e come il suo orizzonte, ossia il nuovo, ciò che non può essere, alla lettera, ri-conosciuto. Per raggiungere questo obiettivo è però necessario che il pensiero si emancipi dall’immagine che la filosofia ha dato di esso e, perciò, dal suo statuto rappresentativo. Questo è il compito che Deleuze attribuisce all’empirismo trascendentale.

1 Cfr. in particolare F. Nietzsche, Genealogia della morale. Uno scritto polemico, Adelphi, Milano 1984.

2 G. Deleuze, Differenza e ripetizione, trad. it. di G. Guglielmi, Cortina, Milano 1997, p. 157.

3 Cfr. B. Stiegler, Etats de choc. Bêtise et savoir au XXI° siècle, Milleunenuits, Paris 2013.

4 G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 198.

5 E. de Conciliis, Pensami stupido. La filosofia come terapia dell’idiozia, Mimesis, Milano, p. 160.

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