Chi parla chi tace
finché percorreremo questa fuga
nel vicolo cieco della lingua
del tutto
a portata di luci
di stenti
di estreme sordità
i passi avranno il suono di chi ora
mai è disperso
di orme scavate nell’aria
di seguaci
antelucani ovunque nella deriva
con il fiato alle spalle sfiorate da un’ombra bianca
capace di richiudersi a buio
a riccio
a parte
a esilio
restando
restando
sterminata alba
nel cranio confitti
**
per Castor Seibel
un’ora franca tra le mani
non è per passare
dispiega la linea che porta al fronte dell’occhio
verremo ciechi alla luce
gioisce la pietra nella controra
non dire più io dopo di allora
non è per passare
che accetta
(se accade)
quando null’altro è nel corpo
che questo breve eternamente ardore
promesso è dire tu
**
chi parla
chi tace
uno stesso volto
in questo cranio di parole
dove a parlare verso il dentro
una voce nel cristallo del passato
assorda
se non sei tu
quello che vuole ascoltare
un chi essere
un chi balbetta
uno stato d’incondizionata resa
prima del sussurro
e nemmeno io
ciò che è scritto
raggiungi la mano
dove un giorno è stata la pietra
scagliata per noi
chiamati fuori di qui
**
chissà se la luce che pianta nel petto
dei giorni a venire
l’orizzonte
sferza
assolve
le orme dell’ombra di qualunque estraneo cammino
la prima luce sonora calata nella goccia
l’umiltà d’argilla
la dispersione il paesaggio
da un giorno all’altro
la nostra svolta saremo
carne in questo immolato infinito canto
chiamati ancora a vivere
l’ennesimo atto
«vivi dentro la morte»
distesa di questi e altri passi
come se essere lì delineasse il luogo
eventuale di ogni distanza
(Da “Incerti umani”, Passigli editori, 2013)

