CHI PARLA CHI TACE. Domenico Brancale

Chi parla chi tace

finché percorreremo questa fuga

nel vicolo cieco della lingua

del tutto

a portata di luci

di stenti

di estreme sordità

i passi avranno il suono di chi ora

mai è disperso

di orme scavate nell’aria

di seguaci

antelucani ovunque nella deriva

con il fiato alle spalle sfiorate da un’ombra bianca

capace di richiudersi a buio

a riccio

a parte

a esilio

restando

restando

sterminata alba

nel cranio confitti

**

per Castor Seibel

un’ora franca tra le mani

non è per passare

dispiega la linea che porta al fronte dell’occhio

verremo ciechi alla luce

gioisce la pietra nella controra

non dire più io dopo di allora

non è per passare

che accetta

(se accade)

quando null’altro è nel corpo

che questo breve eternamente ardore

promesso è dire tu

**

chi parla

chi tace

uno stesso volto

in questo cranio di parole

dove a parlare verso il dentro

una voce nel cristallo del passato

assorda

se non sei tu

quello che vuole ascoltare

un chi essere

un chi balbetta

uno stato d’incondizionata resa

prima del sussurro

e nemmeno io

ciò che è scritto

raggiungi la mano

dove un giorno è stata la pietra

scagliata per noi

chiamati fuori di qui

**

chissà se la luce che pianta nel petto

dei giorni a venire

l’orizzonte

sferza

assolve

le orme dell’ombra di qualunque estraneo cammino

la prima luce sonora calata nella goccia

l’umiltà d’argilla

la dispersione il paesaggio

da un giorno all’altro

la nostra svolta saremo

carne in questo immolato infinito canto

chiamati ancora a vivere

l’ennesimo atto

«vivi dentro la morte»

distesa di questi e altri passi

come se essere lì delineasse il luogo

eventuale di ogni distanza

(Da “Incerti umani”, Passigli editori, 2013)

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