DI COSA ESSERE CUSTODI? Massari, Ercolani

Di cosa essere custodi?*

Dialogo fra Marco Ercolani e Stefano Massari (2012-2013)

M.E.

Di cosa essere custodi, allora? È come stare davanti a un muro crivellato, occorre andare via, lo sappiamo, le vittime non ci sono più, cosa serve restare?, ma si prova uno strano pudore, un’intima paura, a lasciare quel muro solo, con tutte le sue cicatrici, come se il nostro sguardo avesse ancora il potere di consolare, di lenire, non si sa cosa, perché tutto è già accaduto; e così non si va ancora via, si guardano le schegge, i buchi, le crepe (perché non si chiamano ferite?), si pensa non come Leonardo a scene di battaglia ma a streganti apparizioni di animali e di nuvole, dove alcuni uomini, come punti remoti, ridono felici. Che il dolore sia lontano? Che si possa proprio correre liberi? Non so. Per ora resto fermo, custode. Ma custode di cosa?

S.M.

quel muro crivellato di cui mi scrivi è in realtà il ‘custode’ . è il suo corpo . conserva i segni di ogni vittima appunto – ed è solo . come può non essere solo . non può fermarsi – sa che il suo unico compito è il cammino . non conosce la direzione ma usa le ferite come una mappa imperfetta e capisce che solo nel cammino trova ogni volta la risposta . risposta che è sempre una e molteplice . e quel ‘cosa’ che tu domandi è immenso . ma non per questo inspiegabile . disseminarsi è il compito del custode . dopotutto la vita non è essa stessa ‘custode’ (anche..)

M.E.

Non c’è nulla, qui. Solo aria. Ma non credo che l’aria scorra neutra e lieve. Risuona sempre. Tendi l’orecchio. Anche adesso è vento, e porta voci. Tutte le voci che non hai ancora sentito e che potresti sentire. Come in certe pietre della Corsica, grandi sassi bianchi che sembrano crani, soffia una corrente di cui sogniamo la direzione, e la direzione è proprio una freccia puntata verso il nostro petto. Vorremmo uscire da noi stessi, fuggire la ferita futura. Ma è impossibile. Ce la teniamo dentro, aperta. Non fa male adesso, perché parliamo con lei. Ci prendiamo cura del suo dolore con parole che non lo alleviano ma lo rischiarano. Hai presente certi lampi dentro una notte scurissima, quando il temporale è ancora imminente? Quei lampi sono le nostre parole.

S. M.

da qualche tempo – da molto tempo – forse da sempre solo che ora ne sono definitivamente consapevole – sono ossessionato dai gesti delle persone . li osservo furtivo e in silenzio . sento che ogni mio destino è interamente coinvolto in questa minuziosa contemplazione . li vedo annunciarsi – compiersi e ne scorgo l’eco che lasciano al loro passaggio . immediatamente provo a recuperarne il suono intimo che producono in me . ogni gesto – ogni posizione – ogni comportamento che osservo mi restituisce un suono . un suono che è interamente mio . io non voglio mai uscire da questo contatto .

ne sono totalmente avvinto . so che mi ha già portato alla follia . ma riesco a contenere questa follia con il lavoro ininterrotto . così mi sembra che il creato sia immobile – sia in uno stato di ‘permanenza’ nervosa – ma qui mi confondo

M. E.

Non ti confondi. Tu ascolti. Non ascolti con misura, separando e distinguendo. Ti fai pervadere. Chi guardi diventa parte di te. Mi ricordi certi destini in cui mi sono imbattuto, certe persone che assorbono il mondo, ci affondano dentro e poi ritornano, con piccole urla, quasi riemergessero dall’acqua, a dire ‘ci sono ancora’. Certo, si potrebbe rimanere chiusi dentro una stanza, protetti, immuni. Ma è impossibile. Non c’è stanza che valga, non c’è muro che protegga. Le stanze sono un po’ tutte simili a quella di Van Gogh, ad Arles. Osservala bene. Le piccole tese appese al muro sono protese verso il letto, piegate contro il punto sul quale, di solito, Vincent appoggia la testa per dormire. Si potrebbe supporre che, fuori, sibili il vento di un ciclone. Stretta da forze naturali che la corrugano, la stanza è chiusa in una morsa, pronta a spaccarsi. Guarda il pavimento – non lo trovi in leggera salita? Quando sono premute, le cose si allungano e si deformano; quando la pressione cala, i contorni tornano normali e la deformità sparisce. La stanza non prevede la possibilità del sonno: esaspera la ‘permanenza nervosa’ del pittore. Che dovrà uscire all’aperto, per vivere tutto il vento dei campi di grano, tutta la violenza dei corvi. Ma, anche non fosse uscito, i corvi lo avrebbero visitato.

S. M.

non posso filtrare questo tipo di ascolto . dovrei farlo . ma non riesco . mi sembra di mancare a ‘qualcosa’ . mi sembra assolutamente necessario farlo .  come una sorta di compito che non solo mi è stato affidato – ma che devo ‘essere’ . come un destino che ho finalmente riconosciuto e dal quale non posso più separarmi . quello che mi confonde è la sensazione di immobilità del creato – sensazione che mi inganna . perché io sono certo che il creato invece è ‘permanente’ e permanentemente in mutamento . non riesco più a pensare solo al tempo come elemento lineare – ma come tensione ininterrotta di un cammino che avanza cercando di ricongiungersi  al suo punto di partenza . come se la fine e l’inizio di tutto coincidessero . ma noi non abbiamo mai visto l’inizio e mai vedremo la fine . quello che facciamo sono solo ‘gesti’ appunto e astrazioni – cioè segni – di qualunque genere – che indicano il nostro passaggio . io mi divido fra queste due missioni – il segno e la custodia . cerco una totalità che può essere solo ‘momentanea’ nel punto in cui evento ed essenza delle cose ‘coincidono’ – ma non riesco ancora a spiegarmi . non ho ancora le parole – o i segni per questa visione . e anche se sono sicuro che non li avrò mai – continuo con il lavoro . molto lavoro . molto lavoro . 

M.E.

Filtrare? Perché? Continua ad osservare i gesti. Oggi uno dei miei “matti” mi ha parlato della sua corda psicotica. Gli ho chiesto cosa intendesse: mi ha sorriso senza rispondere, tanto gli sembrava ovvia la risposta. La corda è ciò che per lui smesso di vibrare troppo, portandolo al delirio, e che continua a vibrare appena, perché lui è vivo. Tutto il mondo è suono, più o meno udibile. Sta ai poeti musicarne la materia, ai folli modularne la potenza. Si potrà, un giorno, imparare a essere folli? Impararlo con una nuova ragione, come chi ogni tanto deve sognare, ma poi svegliarsi dal sogno e riferire, anche se le parole, per questo, non esistono ancora?

*Ora in: Marco Ercolani, Massimo Barbaro, L’arte della distanza (Puntoacapo, 2020).

(Stefano Massari)

Lascia un commento