(1927, un inizio di romanzo)
a cura di Massimo Morasso
L’Eurococco è stato definito un “inno del nichilismo intellettuale”. In realtà, è possibile dire che questo corrosivo sguardo d’addio al romanzo di formazione sia un’acuta, pluristratificata, poeticissima per quanto profetica critica interna al nichilismo stesso, un viaggio simbolico teso a smascherare tanto la malattia romantico-borghese (con il mezzo, paradossale, dell’ironia romantica!) quanto, più in profondità, il destino autofagico della nostra civiltà del tramonto. Eccezion fatta per Adelphi, non mi viene in mente nessuna casa editrice a distribuzione nazionale che potrebbe osare la commercializzazione di un libretto come questo. Sarebbe un flop, dal punto di vista delle vendite? Temo di sì, vista l’aria che tira in libreria, ma un flop, come dimostrano da sole le sue prime righe, che meriterebbe di essere letto da chiunque abbia gusto per la parola e intelligenza del cuore:
«Mi sono risvegliato da un sogno che si era chiuso dietro di me come un cancello dorato. Cacciata dal Paradiso: quando ci si volta, il ricordo svanisce come al riaccendersi delle luci sulla scena di un dramma che si è appena concluso. E all’improvviso si cade nella trappola del mondo, si affoga nella realtà.
Il silenzio della notte è così grande che si odono le macchine dello spazio stellare al lavoro. La dinamo della luna vibra per un piccolissimo difetto, una vite deve essersi allentata. Gli anelli di Saturno, ruotando lentamente, intonano un antico canto del vento. Parigi è una città stregata. La Senna ristagna. La Torre Eiffel è saldata in più punti. Non nevica più da molti anni. I sentimenti forti sono estinti. Un sordido bacillo ha roso dall’interno il fogliame dei tigli nei boulevards e i cuori degli uomini.
Nei venerabili Jardins de Luxembourg e alle Tuileries i tulipani sono di cera, di stoffa i gerani nei vasi delle vecchie superstiti di Rue de L’Abbé de l’Epèe. Per risparmiare, si sono abolite le stagioni, soltanto i grandi sarti le hanno conservate nei loro cataloghi. I dolci vaporetti sono ormai soltanto un dipinto lungo i moli della Senna. A causa della loro lentezza non possono più essere utilizzati come mezzi di trasporto, ma il consiglio comunale sostiene che essi devono assolutamente appartenere al quadro della città.
Mi metto a sedere nel letto. Una campana suona la Cassiopea. Si fa così chiaro in me, così chiaro, tanto che gli occhi mi fanno male. Non posso più dormire, sembra che mi abbiano strappato le palpebre. Devo drizzare gli occhi sulla verità, duramente, rigidamente, proprio come i morti cui nessuno li ha chiusi. Di notte, ci sono degli istanti in cui teniamo la vita in mano come una noce nuda, bianca, una noce dalla quale è caduto anche il guscio più duro. Allora ci avvediamo di come il grigiore del giorno ci abbia ingannati. A un tratto vedo Henry vicinissimo, come in un primo piano, così vicino come mai “nella vita”. Quella ruga lungo il labbro, tre centimetri a sinistra, mostra come egli mi disprezzi. E come potrebbe non disprezzarmi? Ma ora il vento ha soffiato via la neve notturna e la piccola Campana di Cassiopea ha chiamato all’Angelus.
Ah, è terribile destarsi dal sopore delle sordità e dell’incoscienza e riconoscere la propria solitudine nel regno di milioni di mondi che potrebbero essere patria e non lo sono. O sonno, o riposo sicuro e senza sogni dello spossato; o sonno di estasiate domestiche che credono alla loro uniforme; sonno di uomini satolli, felici, grassi, che riescono a non essere di ostacolo soltanto a se stessi; sonno del forsennato Orient Express che eccita come febbre l’atroce lentezza della terra nel suo moto rotatorio; sonno degli assassini, cui il sangue sgorgato si fa pietra; sonno delle masse, che si lasciano cloroformizzare dagli oratori di partito; biondo sonno, champagne di ruscelletti di prato per lirici innocenti; sonno dei paleontologi che non conoscono il dubbio; sonno delle ragazze di strada finalmente liberate dal sorriso; sonno dei principi ereditari e dei collezionisti di francobolli, quale grazia è la vostra!
Ma il giorno ritorna come una spugna, addensando nebbia sui sonni e sullo spirito, ovattandomi cuore e orecchi. Il suono celeste è cessato. Ora ci vengono dati un cognome, delle lettere e un profilo. Nella notte sospesa ero senza qualità di fronte al mondo onnipotente. Ora mi infilo nella mia pelle e nella mia camicia».


