(traduzione di Massimo Morasso)
XI.
Per quanto il mondo rapido si muti
come alle nuvole la forma,
ogni cosa compiuta torna
al fondo dell’antico.
Oltre il mutamento, oltre il cammino,
più vasto e libero,
persiste ancora il tuo preludio,
Dio con la lira.
I dolori non li si è conosciuti,
l’amore non lo si è imparato,
e ciò che nella morte ci allontana
non ha deposto il velo.
Solo il canto levato sulla terra
consacra e celebra.
XIX.
Guarda il cielo. Non c’è una costellazione chiamata “Cavaliere”?
Ché questo in noi è scolpito in modo strano:
quest’orgoglio della terra. E un secondo
che lo sprona e che lo tiene e che lo porta.
Non è così, inseguita e quindi al freno,
la tesa, anelante natura dell’essere?
Via e svolta. Ma uno strattone li accorda.
Nuove vastità. E i due sono uno.
Ma lo sono? O non pensano ciascuno per se stesso
al cammino che percorrono insieme?
Già non ha nome il divario tra tavola e pastura.
Anche l’unione delle stelle mente.
Ma ci rallegri almeno per un attimo
credere alla figura. E’ sufficiente.

