IL TEMPO DI PERSEO. Enrica Salvaneschi

nota di Enrica Salvaneschi (2005)

Il tempo di Perseo («I libri dell’Arca», Joker, 2004) è una prova particolarmente accattivante nella produzione di Marco Ercolani. Al nitore espressivo, alla raffinata osmosi di cultura letteraria e di formazione scientifica, alla capacità di inventio affabulatoria, che costituiscono caratteristiche costanti dell’autore, questo testo bipartito (Maelstrøm e Il tempo di Perseo) unisce un suo preciso filo conduttore: la ribadita consapevolezza del dovere stilistico, senza il quale nessuna percezione o immagine si solleva da una grezza (nella migliore delle ipotesi) o gretta capacità psicagogica. Si vedano al proposito i pensieri sul “troppo poco” della percezione (pp. 25-26), sulla pseudoimmaginazione (p. 44), sul rifiuto del delirio come indiscriminata fonte ispirativa (p. 50). Proprio entro quest’ambito potrebbero costituire oggetto di ulteriore analisi la condanna dell’armonia come “esercizio del potere” (non è sempre così, credo, anche perché non può escludersi che il “potere” talvolta coincida con il “poetare”) e la nozione di smembramento non come “scandalo” ma come “illustrazione” (p. 47).

Colpisce la scelta per cui il titolo della seconda parte diviene eponimo del tutto. Secondo Pindaro (Pitica, XII), Perseo, giustiziere e alunno di Medusa anguicrinita, apprese il modulo della musica polifonica dal sibilo delle chiome di lei morente: stupenda intuizione di una nietzschiana cloaca dell’anima? Leggiamo in un testo della prima parte (p. 28) un pensiero sulla “percezione polifonica del mondo”, riportata allo specchio di Dioniso, e non possiamo che restare ammirati da questo nesso intimo, che forse Ercolani non ha cercato, ma che implicitamente ha trovato. Certo, la sua è una polifonia al nero (termine frequentissimo nella sequenza dei pensieri), entro la cui notte piace riportare Danae, madre di Perseo da lui salvata, come ricorda l’ultimo tassello (p. 55), alla presenza della madre nel Maelstrøm della prima parte (p. 18): denso, duro idillio filiale di inclemente pietà. Sarà un caso che vi ritorni il tema dello specchio, nella frustrazione di Apollo?

È proprio vero quel che diceva Theodor Fontane: “in greco e in musica si può dire tutto”. Siamo grati ad Ercolani di avercene dato un’ennesima prova, in tempi di millantata barbarie.

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