VIAGGIO D’INVERNO

A Hugo Wolf

Manca il dolce e quel che dole

e gl’ingegni e le parole;

e le nostre antiche parole

al sole ombre, al vento un fummo.

Michelangelo Buonarroti

Nodo scorsoio, la stanza.

Neve, strade, tenebre, voci.

Vivere solo, nella terra.

Comporre da invasato.

Né padre né madre, ma crome

scarabocchiate.

Arco nero, l’orizzonte.

Il ghiaccio copre la terra

da otto mesi.

Era verde, l’erba? O il colore

fu un sogno della vista?

Frusciano i rami del tiglio ma il bosco è buio.

Cortile, casa, donna

– inghiottiti.

Una furia di vento profana l’albero lontano.

Riprendo a camminare,

me assente.

Banderuola

fredda d’inverno, rovente d’estate.

Sveglio, annoto

il fa due ottave più basso:

cadenze, trilli, frasi zoppe,

re bemolle, la diesis.

Doppio canto:

tasti e bocca, pianoforte e voce.

Ogni lied lo esige. Si può reggere per ore

l’estasi che crea un mondo altro?

Si può essere forsennati sempre?

Ogni infinito esige un limite.

Lastra gelata, dopo la tormenta, il fiume.

Chi si rifugia sulle sue rive traccia nel ghiaccio

date, nomi.

Quando verrà la primavera si scioglieranno

dai fogli gelidi delle onde

parole fluttuanti,

guardate da pesci impassibili.

Non riconosco nessuno

nessuno mi riconosce

come un sonnambulo obbedisco

non so a cosa

esseri felici festeggiano

cosa?

Sparisco nel buio

alle soglie della porta sento finalmente

il suono della stella –

fredda, unica, chiara.

E ora, colpi secchi sul vetro:

scie rosse, tracce di sangue,

è intatto il cristallo ma il vento

cresce, il vetro si flette.

Un boato, la stanza invasa di schegge.

Mi siedo al pianoforte intono il canto preciso.

Tutto è dentro di me.

Fiammifero rotto, unghia tagliata, biglietto perso,

busta piegata, guscio, penna, mozzicone,

capelli, aghi, peli, noccioli, sterco,

brodo, polvere, carta.

Tutto ficcato in me.

Cucio nel materasso i miei taccuini

annodato al letto della cella numero nove,

ora dopo ora, resto

a giacere.

Io.

Lei mi vede, dottor Svetlin.

Ancora io?

Sono vicino alla sorgente

della forma. La musica

sprofonda fino a essere giusta.

Il cielo appare e scompare

io respiro a soprassalti,

copia di quel cielo.

Qualcosa, sempre,

ascolto e trascrivo.

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