Le vele sono i concetti. Ma non basta disporre delle vele. Ciò che è decisivo è l’arte di saperle issare (Walter Benjamin)

1
Le pagine degli altri sono vele, la tua è il vento che ci soffia attraverso.
Scrivi perché il bianco della carta ti abbagli, ti indichi il vero silenzio.
Entri nell’altro, lo correggi, lo illumini, lo fai tuo, sei un noi. I gesti segreti che ritrovi in vite altrui sono la tua semiologia dell’inferno. Mentre chiudi gli occhi e il sole ti sfiora la pelle, torni vivo fra le altre ombre.
Voci, da sempre, in tutta la stanza. Come riconosci la tua?
L’aria entra dove scrivi, perché l’aria è il regno delle parole.
Appena ti arriveranno queste righe, non rispondermi. Chi ti ha scritto è già un altro uomo.
Fino a quando sarai fermo sulla soglia, con frecce che non scaglierai? Fino a quando fisserai il sole?
Cerca di ricordare i suoni del ciclone e osserva i muri che hanno resistito.
Di certi animali simili a uccelli o serpenti, scolpiti in legno su uno dei templi, si dice che liberino la mente dagli incubi.
Dipanando in parole quanto non sarebbe dicibile, la lingua scava interminabilmente se stessa come una termite il legno. Il legno alla fine appare intatto – anche se in realtà è vuoto.
Il segreto, o resta tale o sale alle labbra per essere detto: ma allora la voce lo trattiene e assistiamo all’apparizione della scrittura. La scrittura non giunge dalla materia della parola ma dai racconti delle sue peripezie.
Mettere spasmi nel linguaggio, non disarticolarlo.
La pagina dove inventi parole è un muro dove sbattere le mani, la mente.
Sprofonda nel buio con la tua fiamma. Ogni scrittura contiene il suo grido.
Se ricopri il mondo di parole, non è forse quello il tuo modo di tacere?
Una foresta di capitelli, la cripta, e non esiste un unico autore.
Scrivere verso un nulla che non ti appartiene. Essere sempre all’inizio, senza opere da mostrare, solo con le parole come specchi che non riflettono più ma che trattengono ancora la nostalgia di riflettere il mondo.
Iniziare a scrivere. Iniziare sempre. Fuggire le frasi compiute come teoremi risolti.
2
Sciolte dai libri, le parole restano negli occhi dei lettori.
Trovare, toccando le pietre, l’aria che le circondò per secoli.
Lo stile: scudo che protegge e specchio che moltiplica.
La ferita, illimitata, La scrittura, il limite
Hanno chiuso le porte della città, ma la battaglia prevede il crollo delle mura.
Potresti scrivere per una notte intera, le unghie che scavano il cuscino con frasi cieche, e non potrai rimandare quel destino. Però non smettere, come hai sempre fatto, di cercare le tue parole.
Il poeta sente qualcosa che non può capire e cerca di evocarlo, mantenendo viva una gioia incomprensibile.
L’opera compiuta e bella: remota natura morta. L’opera-frammento: letta, riletta, sognata, attraversata.
Un verso per cui trovare la voce, restando all’altezza dei propri sogni.
Talvolta rimane il desiderio di nuotare contro la direzione dell’onda, la testa assente.
È necessario che il libro diventi un sogno da plasmare, non una storia da concludere.
Miracolosamente familiare, quel libro: lo leggi come se stessi scrivendolo ancora.
L’arte non consola. Tràpana e svena, poi lascia soli a parlare.
L’oltranza della scrittura. Quella forma di coraggio che tenti di avere.
Trovare le radici del muro. E poi?
3
Libri da comporre in un lampo, le parole che sfuggono, le immagini che incalzano. Come si riesce a dare architettura a un soprassalto, partitura a un brivido?
Scrivi in apnea, perché l’immagine non fugga prima di essere tracciata. Solo le parole restituiscono la fiducia nell’impossibile che la realtà ci nega.
Ciò che osavi sognare, nella parola, è la parola.
Pagina fitta di incubi. Illuminata dalla scrittura.
Si scrive ciò che abbiamo appena sognato di leggere.
Ogni suono che rifrangi, dentro o fuori di te, trasfòrmalo in atto poetico. Le parole, vive anche durante il sonno, ti aspettano.
Per descrivere l’indicibile c’è chi usa le tenebre, chi i colori.
La scrittura viene dal nulla e va nel nulla, come quando capita di ridere insieme, in una stanza buia, mentre si voleva piangere.
La disseminazione dell’identità: il desiderio di resuscitare maschere, di moltiplicarsi. Non c’è tristezza, nel moltiplicarsi, ma ebbrezza del perdersi e ritrovarsi.
La scrittura: ago piantato nel palmo della mano. Le parole faranno sempre sanguinare le dita.
La follia ha in comune con l’arte il desiderio, giovane e assoluto, di sconfiggere la morte.
Ogni scrittura lenisce dalle ferite: è un trattenere ciò che è destinato a scorrere.
Immagina gli appunti preparatori, le frasi accennate, gli schizzi, e non riesci a capire cosa sarebbe potuto accadere. In quel non capire cominci, lentamente, attraverso mille dubbi, a ripensare forme, stili, sapienze.
Leggere le pagine scritte dai morti. Ritardare il congedo dal mondo.
4
Una lettera scritta un secolo fa, che potrebbe non essere mai stata spedita, che arriva oggi a un altro destinatario e lo convince a intraprendere decisioni assolute. Un eccellente paradosso. Come la passeggiata di un cieco che illumini il cammino di molti vedenti.
Se scrivi pensando a nessuno, la tua parola, vicina alla parola dei morti, pensa l’impensabile.
Scoprire il linguaggio sempre per la prima volta, insolente e nuovo, cristallino e imperfetto.
Andando verso una strada non vista, il poeta sa farci sentire ogni oggetto che nomina come se lo toccassimo nel buio, come se leggendo lo illuminassimo, come se da ciechi tornassimo vedenti attraverso la sua parola.
Ogni autentico poeta sovverte le percezioni altrui, passate e future, per ri-accoglierle in sé.
Mentre non riusciamo a niente, mentre cerchiamo le parole con cui falliremo nel dire ciò che vorremmo dire, da questo sentimento di scacco ma non di rinuncia possiamo cominciare, con orgoglio e disincanto, sicuri che non faremo ciò che intendevamo fare ma che ci siamo avvicinati al bordo della nostra ferita.
Nostalgia di cose che non sono state dette, desiderio che siano dette e scritte ora. Inventare ricordi. Incontrare un passato che sia futuro. La vertigine di un testo impossibile ma reale. Ogni forma esposta a questa vertigine si mostra aperta e percorribile, in un senso e nell’altro, perché appartiene al mondo degli specchi. E nulla, più delle rifrazioni dello specchio, rimanda alla complessità della soglia. Chi è illuminista crede alle ragioni della notte, non alle sue tenebre.
Don Quijote provoca il reale per mettere alla prova la realtà delle storie lette. Agisce nel mondo quelle parole perché ha bisogno della loro verità. La struttura del suo pensiero è il metodo della follia.
Il poeta scrive da quel punto di sé dove sarebbe logico tacere.
La scrittura è il frammento a cui non viene concesso né inizio né fine. Avvolgente e porosa, senza scampo, con migliaia di parole che si addensano e si cancellano: una scia. Alla fine resta, complesso e stratificato, il silenzio.
I rapsodi, nella tradizione dell’epopea greca, erano detti “cucitori”: con le parole dei loro racconti lenivano il dolore che scuce il presente dal passato.
La bellezza estetica è quella sospensione dalla vita che ci rende occasionalmente immortali.
La metafora erode il senso comune: è uno stato di veggenza che coincide con il vedere di meno e con il vedere di più. Indica uno svanire dell’ordine del discorso che, per analogia, ci rammenta il sonno mentre si affolla di sogni. Come in una variazione musicale, le vie della metafora rendono polifonico il tema di partenza e conferiscono alla musica che sembrava compatta una risonanza complessa che la dissolve.
Chi vuole esprimere il suo io fuori dall’io sceglie un destino metaforico.
5
La conoscenza? L’ossessiva obbedienza a una passione.
L’arte è l’equilibrio fra la volontà del creatore – il suo tempo di costruzione – e la resistenza dell’oggetto – il non-tempo della materia.
Il fuoco sovverte la volontà che intende plasmarlo.
Sconfinare e restare nel confine.
Chi, posseduto da un’idea, ferma nel foglio una frase, tradisce entrambe e illumina entrambe.
Dentro il tempio quella frase eretica.
Ripetilo a te stesso: i libri non sono mai stati ombre.
Per difendersi dal mondo dove non vuole essere, lo scrittore si insedia nel mondo reale delle parole, in cui regna. Ma non da sovrano, da servo.
