
Caro Marco,
non voglio sostituire l’impegno felice che esige il tuo Pallaksch (in Discorso contro la morte, Joker edizioni, I libri dell’Arca, 2008) con le più facili lodi. La tua formula funziona a meraviglia e consente entrate originali, come tutte le entrate sul retro. Partecipo felicemente alle tue incursioni sorprendenti, irregolari e perfino divertenti.
Ma io ho bisogno di accanirmi su alcune parole che non mi danno pace e approfitto delle porte che tu lasci aperte. Testardamente, eccole:
La prima è: Custodisco il vaso.
La seconda: (Poros) colui che dorme nel sonno.
La terza: La distrazione è tutto.
La quarta: Come sempre, quando non si vuole soffrire, si diventa kantiani.
La quinta: C’è un mezzo per liberarsi dal proprio stile?
Mi fermo qui.
Queste frasi, mi sembra, trattano ciò che (oh corporis misterium!) è chiuso nel primo verso della poesia Die Aussicht che tu, bellissima mossa, riporti per confermare qualcosa attraverso il suo oscuramento.
Mi sembra, già in quell’incontro del mese di Maggio a Genova, di avere accennato ad alcuni interrogativi che mi stanno alle calcagna.
Mi sembra di avere anche letto la mia traduzione di quella poesia, dichiarando, in modo più o meno esplicito, che, per quieto vivere, non la volevo chiamare traduzione, ma, forse, ris-posta, comunque qualcosa con il suono ris-, al modo con cui tu, brillantemente, tratti il suono skar di Scardanelli.
Ora, ciò che fai dire ad Hölderlin nel tuo apocrifo, mi sembra (perdona la presunzione – o la speranza!) risponda a quanto è “incorporato” in quella mia traduzione del primo verso ed esplicitato nelle cinque frasi (le porte) del tuo Pallaksch.
Due sono, in quel verso, le parole chiave: in die Ferne e wohnend Leben. Di queste due parole chiave, una (wohnend) è, per così dire, la chiave del caveau, dove è nascosto ciò che è decisivo.
Cosa è decisivo in wohnend? Io direi: essere qui (da-sein).
Una questione si pone: o wohnend non lo traduci (per es. Reitani) o lo traduci, forse legittimamente, con usata nel senso di abituale, solita ecc… (come Mandruzzato, che tu utilizzi).
Mi sembra di poter dire che wohnen, in Hölderlin, si contrapponga non soltanto al divenire (che strappa dai luoghi), ma all’onnipresenza (senza luogo) dei Celesti.
Il luogo è tentato sia dall’eresia che dall’amore. L’umano è luogo.
Il “tuo” Hölderlin mi sembra perfettamente in linea con l’immensa “malizia” di quel primo verso, che sottolinea, in modo fulmineo, la “localizzazione” del vivere e la sua “lontananza intrinseca”.
Ancora un’osservazione: wohnen è una parola che Hölderlin usa per indicare la vita nel limite, una vita all’oscuro, un rifugio dalla luce, un interno. In questo senso wohnen (abitare) chiama bleiben (rimanere).
Der Vater aber decket mit heiliger Nacht,
Damit wir bleiben mögen, die Augen zu. (Dichterberuf)
Ma il Padre con la sacra notte
copra i nostri occhi, affinché ci sia dato rimanere. (Vocazione del poeta)
Rimanere è anche “disdire” il compito impossibile, la dismisura e il disumano.
Hoch auf strebte mein Geist, aber Liebe zog
Schön ihn nieder, das Leid beugt ihn gewaltiger;
So durchlauf ich des Lebens
Bogen und kehre, woher ich kam (Lebenslauf, 1798)
Spiccò il salto il mio spirito, ma il bell’amore
Lo chiamò, poi lo piegò l’onnipotente dolore;
Così salgo e scendo sull’arco della vita
Per ritrovare il punto di partenza. (Corso della vita)
Ecco finalmente il verso che tanto mi attira e mi angustia:
Abita la vita ed è lontana
lontano splende tempo di vendemmia
ecc…
Non è una traduzione, è una malattia.
Ma non è anche il vaso custodito, del quale parli tu? Un vaso che può contenere le contraddizioni senza lasciarle uscire, come al tempo degli Inni, insostenibili?
Questa poesia ha imparato ad abitare (wohnen)? Ha imparato a dormire nel sonno? Ha imparato a dire una cosa per volta come la più grande distrazione? Ha dunque imparato a liberarsi dal proprio stile usandolo spudoratamente? Non ha nemmeno più bisogno di essere kantiana?
Perdona se sembro tirare l’acqua al mio mulino, ma anche il tuo, di mulino, mi sembra abbia una musica che riconosco, famigliare, come chi ci abita vicino.
Chissà se sarà possible fare qualche passo avanti nella comprensione?
Mi auguro che si possa rimanere visibili, anche sventolando fazzoletti, da lontano.
Perdona il ritardo nella mia risposta, ma…”quando siamo annientati da un muro ammuffito, da un tavolo freddo….”
Tuo Angelo Lumelli

