Scenario, il primo libro di Riccardo Benzina, si suddivide in tre sezioni: Madre di nessuno, La fame, Nero. La copertina ospita un’opera digitale dello stesso autore, Fiammiferi. L’attenzione del lettore viene accesa dal coraggio e dalla fiducia verso una parola densa, piena, intrecciata a passione, visione, felicità di racconto. Fondamentale è la chiusa del libro: «Ma ci sarai ancora, ci saremo / ancora, ci / saliranno in testa le cicale appena dopo / il tramonto. Lunga estate. Noi andremo / per i paesi in festa nascondendo il nostro male / in uno scherzo. Fumando polline. Avremo / luminosi accenni che daranno un attimo / di senso, un piccolo orientarsi / dentro il mondo, cosiddetto lo / scenario». Chi legge Benzina si ritrova dentro un viaggio che non sa definire, ma è un percorso brutale, di mutamenti. (“Ritorniamo, perché dal nostro bunker / si sentono i salmi della materia; / perché / teniamo a queste poche ore di risposo, al sabato: / al trauma che ci parla delle ossa». Ed è vero: questo è un libro che “parla delle ossa”, della sostanza del dire, e non si sottrae alla necessità di una parola pronta a essere viva. Commenta l’autore, in un’intervista: «l’io di questo libro, più o meno consapevolmente, gioca a confondersi: il suo destino è una genesi pressoché compulsiva, il suo vezzo una sbadata metamorfosi. È un io dissoluto e ha molti margini d’errore. Questo è quanto. Non mi interessano i generi, non mi interessa trasgredire. Con l’extraletterario ho un rapporto molto stretto, come tutti. E a pensarci bene c’è una vocazione, un’attitudine teatrale nella scrittura di Scenario – ma è spesso abbandonata, poi ripresa… discontinua, insomma. Io sulla pagina deposito questo: un qualche tipo di oralità fossile che chiede al lettore soltanto di essere risvegliata, come una bella addormentata nel bosco». Se ci si chiedesse di cosa è fatta questa “oralità fossile”. potremmo rispondere che è uno strato arcaico della voce, evidente in questa poesia. «È domenica. Si attende conficcati / come chiodi nel futuro. Il solito / tentare tradizioni, scegliere / la matita più lunga, la gomma / più precisa. Cimentati in un riepilogo. Io / che provo a dire il nome e viene fuori / lacrima / disdetta / linea che non passa / ho bisogno del tuo aiuto amico mio. // Tu sai farlo. Tu rendi questi fili scollegati / dal pianto al discorso / dal cuore all’altro cuore / con dedizione angelica: è questo il tuo curriculum». Andrea Temporelli scrive, dii questo libro:« La vicenda umana, il passaggio dell’uomo sulla terra, madre di nessuno, è come il bagliore di un fiammifero che ha garantito un attimo di senso ma che deve accettare di scomparire, di farsi riassorbire nello scenario». La sua diagnosi è esatta, ma ogni opera sfugge dai suoi confini. Scrive l’autore: «Ci sono mete provvisorie: stancarsi è una di queste. Il richiamo a proseguire, poi, è sempre dietro l’angolo, finché a uno funzionano le orecchie. Ma serve anche una certa risoluzione. I testi che scrivo nascono da quelli che ho letto, ma tutto è testo (“perciò hai disteso come una pelle il firmamento del tuo libro”) quindi mi riuscirebbe molto difficile fare una lista. Credo sia fondamentale perdersi, in generale: non avere necessariamente la misura di un riferimento». Perdersi, in generale, è la potenza di questo libro spaesante, scolpito nelle parole, chiaro come un segno nero sopra un muro bianco. «Barrato infine / dall’inventario un altro nome, chiusa / la partita che sempre va a dovere / resta il taglio / e non la vena, piccolo delirio / delle frasi» (M.E.)
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Alberto Burri
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Riccardo Benzina nasce a Bari, nel 1988. Scenario, Taut editori, Milano 2022, è il suo libro di esordio.
*Questi testi di Lorenzo, inediti anche online, mi sono apparsi questo pomeriggio da un suo vecchio quaderno protocollo, nascosto in un angolo della scrivania, e sono poesie d’amore. (M.E.)
jenen von Theresienstadt. Und breite aus, verbreite,
die Morgendämmerung der Erinnerung, gründe sie in der Nähe
des ‚für immer‘, das sich öffnet
im Höchsten der wiederholten Spiegel. Und lege,
lege einen Stein, in die Klarheit brillanten Tiefblaus,
einen Stein, einen grossen Stein, in den Stunden
der Zäsur der entblössten Lieben nackt, und —
in den Schnabel des Stieglitzes auf einer langen Überfahrt
im Hafen eines jeden Hauses, damit bliebe
ewig bliebe der Schmetterling, und immer von dort —
von dort er uns ansehen würde, von dort, von Theresienstadt —
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Traduzione Karl Zippelius
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Terezín
Margit Koretzovà
Plzeň 08.04.1933
Terezín 1942 – Auschwitz 1944
Stolperstein: Plzeň 08.09.2022
disegnò a Terezin
Rozkvetlà louka s motyly, Le farfalle
Se mi ami – soffia sulle ali, le ali di farfalla, quélla di Terezin. E allarga, allárga, l’alba di memoria, fondandola vicino al per sempre che si apre in cime di specchi ripetuti. E poni, poni un sasso, a nitore di fúlgido turchino, un sasso, un sasso grande, in ore di cesura di nudi amori nudi, e — in becco al cardellino in lunga traversata nel porto di ogni casa, perché resti résti eterna la farfalla, e sempre da lì — da lì ci guardi, da lì, da Terezin —
Marco Ercolani, Nottario, Aforismi 2015-2021, IQdB edizioni, Collana di Aforismi “Dissensi” curata da Donato di Poce. Il libro è stato composto da Mauro Marino nella sede del Fondo Verri a Lecce, via S. Maria del Paradiso 8, per conto dell’editore Stefano Donno.
Fotografia di Paola Mongelli
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Al Nottario metto mano ogni giorno, scrivendo quello che è il contrario di un Diario: se il “diario” accoglie le annotazioni diurne della percezione, il “nottario” rivela i soprassalti notturni del pensiero. Il mio Nottario non è dissimile dal Palais Ideal del postino Ferdinand Cheval, assemblato pietra dopo pietra, notte dopo notte, in decenni di semifolle lucidità: è questo il mandato a cui devo obbedire. Senza libri a cui obbedire la vita perde senso: libri che siano sorgenti, matrici, inizi, come lo è questo Nottario, crogiuolo di possibili opere in corso. Oggi, nella collana dei Quaderni del Bardo, ne pubblico alcuni frammenti. Nottario è, nella sua struttura, una raccolta di aforismi, riflessioni sapienziali, note estetiche, soprassalti poetici, che si susseguono cercando chissà cosa e chissà dove. La conquista dell’inutile è fondamentale: non corteggiarlo ma conquistarlo, farne il proprio racconto, la propria arte reale. Così come Werner Herzog trasforma il pianoforte, issato sopra le montagne, in Fitzcarraldo, non in simbolo di follia ma in estasi possibile di un’altra musica, cercando di compiere l’impossibile viaggio. Leonardo ammonisce “non si debba desiderare lo impossibile” ma lui non ha fatto altro che cercare di realizzare, nell’arte, nell’ingegneria, nel pensiero, proprio ciò che non sembrava possibile. Si è messo nella condizione di descrivere i suoi sogni architettonici rappresentandoli con pragmatica esattezza. Nottario vuole attirare il lettore in un laboratorio poetico dove abiti un’idea inconciliata ed estrema di scrittura, una scrittura poetica che “ricerchi il compossibile” senza perdere “la fortuna dell’insonnia”. Cito Nanni Cagnone perché da sempre il poeta di Armi senza insegne scava, all’interno della tradizione poetica contemporanea, un abisso di libertà irriducibile. «La più profonda esperienza della poesia è quella di una lontananza costitutiva». Dentro questa lontananza può esistere un libro come Nottario, discorde al suo e a qualsiasi tempo, e che, pur essendo stato scritto nel corso degli anni, si scrive sempre “adesso” perché i suoi frammenti si assemblano nell’unicum che conferma il mio pensiero eretico e girovago, riluttante alla semplificazione.
Un quoziente di gioia (fv9editori, 2023), l’ultimo libro di Giorgio Galli, è un immaginario romanzo epistolare ispirato all’amore di Janacek per Kamila Stosslova, nella finzione narrativa curato dal pianista Rudolf Firkusny. Da sempre Galli è attento a identificarsi con figure di artisti, legate al mondo della musica, fino a creare veri e propri apocrifi, come in La parte muta del canto e Le morti felici, ma in questo nuovo libro l’atmosfera è quella di un vero “romanzo in lettere”, scritte fra il 1926 e il 1928, che echeggia la storia reale fra Leos e Kamila ma non le è fedele in tutti i dettagli. Naturalmente il romanzo, parlando di musicisti, è ricchissimo di annotazioni sulla musica, anche teoriche, molto care all’autore. Ed è, al contempo, il resoconto di un amore appassionato fra il vecchio Leos e la giovane Kamila, amore che traversa città diverse e varca diversi confini, da Brno a Praga, da Berlino a Varsavia. La sua scrittura, che qui conquista una “seconda” e non ingenua semplicità, ha la magia di un palinsesto e seduce un pubblico eterogeneo: dall’intellettuale attento ai ragionamenti musicali del vecchio Janacek al semplice lettore intrigato da una storia d’amore melodrammatica e non sempre prevedibile. Qui Galli trova un personale equilibrio narrativo, un suo efficace “quoziente di gioia”, fra plot narrativo e necessità poetica, che fa di questo libro la finestra più adatta per entrare nel suo mondo interiore di vinti, di fantasmi, di esseri che però resistono e risorgeranno alla vita.
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Ostrava, 6 agosto, 1928
Amore,
non ho risentito del cambio di letto, ma del fatto che tu non c’eri. Non m’’importa in quale casa mi trovo, ho dormito in talmente tanti luoghi e in talmente tante città che oramai ne ho perso il conto. L’unica mia casa è il tuo corpo. È lì che abito. È in te che ho le radici, Kauffmann si trova male lontano dalla patria, io ho una patria ancora più ristretta: tu sei la mia patria, e in te trovo un mondo intero perché ogni sfaccettatura del tuo animo è una persona, ogni luogo del tuo corpo una città. Dentro di te è il mio porto, il mio approdo di questa vita errabonda e tormentata. Vieni presto.
Leos
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Ostrava, 1 novembre 1936
Caro Kauffmann,
le cose non vanno bene. Leos respira sempre peggio e l’ipotesi che possa guarire completamente e senza conseguenze si è fatta lontana. Le scrivo poche righe perché sono affaticatissima. Passo l’intera giornata in ospedale, spesso non rientro neanche la sera, e mi porto qui il lavoro per poi mandarlo per posta in redazione. In tanti mi chiedono notizie, e io, che sono una giornalista, notizie non ne so dare. Ne vorrei.
L’incertezza è il mio peggior nemico. Mi creda sua amica.
Kamila
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Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980. Vive a Roma dove per due anni ha gestito una libreria indipendente. Pubblica: La parte muta del canto (Joker, 2016), ritratti biografici di grandi musicisti del passato, Le morti felici (Il Canneto, 2018), Le voci sopravvvissute (Gattomerlino, 2020), il racconto lungo Il matto di Leningrado (ivi, 2012), la raccolta di poesie Canzonacce (Delta3, 2021), il romanzo epistolare Un quoziente di gioia (fv9editori).
I testi sono tratti da: La furia di quel piccolo niente, I libri dell’Arca, Joker, 2013.
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Sembra ci sia battaglia
tra i rami e la schiuma,
ma è solo un gioco a cui assiste
il dio che custodisce i confini.
Paul Klee
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Io
Io mi soppeso nei lunghi silenzi del mare.
so pesare la tristezza con le gioie,
ma fare le tare non ricordo più.
Mi riconosco a volte in un’immagine che piace,
ma spesso pesa più quella me così
ostinatamente grigia che la luce l’ha
ingoiata l’asfalto.
Sono di sabbia e sfinita
continuo a passare nella strettoia
per riallargarmi e capovolgermi ancora.
*
Treni di note
rincorrono l’orecchio
accalcandosi dolci
sul tappeto
ornano l’antico
ritratto del mare
sul portico stellato della sera.
*
Ti ricordi quando tutto si faceva lucente?
Quando il dolce dormire dei corpi vicini,
era una scusa per stare svegli a spiare?
Spiare la vita dell’altro: il suo mistero.
Ti ricordi più indietro nel tempo?
facevi lo stesso per farti cullare,
uno scherzo una carezza,
spiare l’amore materno
con occhi fintamente assopiti,
un quasi buio per non strabordare d’amore.
*
Dal vaso turchese mi giungono inviti,
c’è festa là dentro colori antichi
ricordi di avi che proteggono il gioco,
viti, tre conchiglie, una puntina blu,
se guardo meglio mi tiro su.
C’è musica note spartiti vestiti da sera,
una borsetta trapunta, una vecchia bandiera,
Sulle righe confuse rimando parole,
poi inizio ad estrarre cotone, di mille tinte
violette un po’ spente, lo estraggo dal vaso lo
lancio per aria, mi muovo da un batuffolo all’altro
mi espando fluttuando giro così per qualche
settimana ed infine ripongo la lana.
*
Un bagliore improvviso
alla mente un attimo
ti accende,
verdi di stoffe e broccati,
compaiono i tuoi antenati,
con grande maestria
cambi stoffa al sipario,
un altro bagliore
e compare un mare stellato
con grandi orli
di sabbia a lato.
Piccole pietruzze pregiate
decorano la notte.
Ti addormenti mentre
il tempo tesserà un mattino nuovo.
*
Bontà della vecchia
comune indifferenza
tutto è così sempre
senza toni che ne
invento una nuova,
indifferenza al sesso,
al vento, al rumore
alla paura,
così non si rischia,
poco entusiasmo
molta incertezza
siedo a gambe incrociate
stufa – aspetto che passi.
*
L’equilibrio fresco
della sera
ci annaffia di calde
parole.
Sorrisi ampliati dal blu
si rispecchiano
nel ricordo dei prati.
Un gabbiano osserva
il mare, ma che cosa è
per lui un prato?
*
Entri,
il compagno di una vita,
ti scaldi al mio sole,
ti siedi con le spalle al mare,
mi guardi, parli.
Il profumo di te
si fa strada,
allungo il mio sguardo,
ti assaporo la spalla,
il tuo baffo accarezza
il mio collo, decollo.
*
Te vorrei
nel rumore di un gabbiano,
nel quieto suono dell’onda
te vorrei,
nello stupido silenzio
di una vana parola,
nell’euforia del vecchio
riso esagerato.
Ti penso al calore di una stufa
e già illanguidisco dentro.
Ti penso ed il tuo viso svapora
mi rifaccio suora,
se ti vedo ti taccio ti schiaccio
con un colpo di straccio.
*
Legati da indiscussi
fili di ferro gli amanti
si credevano liberi.
La ruggine ancora minava
le strutture ed imperterriti
loro si amavano.
Con occhi che sembravano vivi
li vidi baciarsi,
poi qualcuno strappò
il velo e caddero,
uno di qua, uno di là,
a bocca aperta
separati per sempre.
**
**
Lucchetto
Triste triste triste
mi accuccio
in un canto,
mi sciolgo
in pianto,
sogno perfetto
questa notte,
compravo un lucchetto.
Chiusura, paura,
un’amica cara
mi apro all’affetto,
cosa serve il lucchetto?
*
Matita
Andava masticando matite,
ti stupisci?
Le punte ai due lati?
io, assassino di ma…..
te, io mai.
*
Bluff
Immersa nel lieve
rumore della sera,
adocchio ronzii
nel mio cuore.
Il corpo tace,
un po’ sordo
al sapore del mare.
Mi dichiaro azzurra,
ma bluffo e piango.
*
… e apparve un numero
inossidabile, qualche 5
qualche 2, una virgola:
il nostro conto in banca
reale, di una logica inaccettabile
come solo i numeri sanno avere.
Parole imbavagliavano
emozioni, la realtà di oggi
è così labile
da sembrare assoluta.
Ritagliavo un sorriso
nella completa ignoranza,
è tanto, è poco, è medio?
Mi ami per questo
valgo poco a contare.
*
Scricchiola il letto:
era innato quel senso di tempo.
Sei anni prima il legno
conteneva già il rumore
che sento ora:
inverosimile pausa di desiderio,
perché ci sei tu dentro.
*
Retro
Sono stanca,
stanca di
guardarmi
vivere
vorrei essere me.
Così
si è addormentata
per quattro miglia
di secoli fu poi
di ritorno in
uno spazio più mite,
lei si accordò
con la tenue luce
dell’alba e quel
mattino tranquillo
non la tradì
respirando ancora il
suo cielo in tutto
lo splendore ufficiale.
Serena Olivari (1952-2010), pittrice. Tra le mostre personali: I guardiani delle porte, I tappeti, Sweet home, I Giardini, Sai quella città laggiù a sinistra del deserto? Ultime opere. Tra le mostre collettive: Nodi d’artista,, Rosa rose, Arte in ostaggio, Submarine, Grigi-ori,, I taccuini. Ha pubblicato acquerelli su riviste, tra cui “il Cobold” e “Lettera”, e per la plaquette di Lucetta Frisa, Gatta senza lacrime (edizioni Pulcinoelefante, 2003). Come poeta ha pubblicato Seduta dove non sono (Edizioni S. Marco dei Giustiniani, Genova, 2007).
I testi sono tratti da: Massimiliano Damaggio, Io scrivo nella tua lingua. Una sfavola, con nota critica di Mia Lecomte e traduzione in greco di Giorgia Karvunaki, collana di poesia “rossocorpolingua” diretta da Cetta Petrollo, Edizioni Zona
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declivio
io scrivo nella tua lingua
in questo verbo che declina, prima
di cadere
ascolto la collina
gonfiarsi in una nube
quando cane e bambino
in tragitti controvento
si rifugiano sotto l’albero
come in una casa
fra silenzi di foglie
e acqua appare mossa
da frequenze imprecise
adesso che da molto tempo
tutto questo vuoto
è tuo
**
memoria olfattiva
per molte notti ho dormito abbracciato al tuo maglione
fino a quando il tuo odore se n’è andato
ho letto da qualche parte che la memoria olfattiva
è la più dura a morire
e che rifiorisce
all’improvviso, e non ti avverte
sarà per questo che stamattina
il barista ha posato sul bancone
due tazzine di caffè
**
nel mondo delle parole non ci sono morti improvvise
ma io ho visto un vento, fermo alle radici
di un bambino
e della sua spada di legno
questo vento è un vento
vero,e la tua arma
è poca
ma mentre scendiamo insieme il sentiero della notte
sei tu che mi fai strada
con una lucciola sul palmo della mano
a volte vorrei toccarti, ma poi non posso
e allora scrivo un luogo dove puoi correre e giocare
insieme ad altri segni come albero,
torrente
mentre ancora fai finta di volare
e cadi
termine in disuso
ogni giorno un po’ più bianco
**
non c’è lacrima che non scavi un solco,
una traccia indelebile di solitudine,
quando il dolore irrompe con la forza di un grido
nella purezza di una pagina priva di memorie
Francesco Marotta
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Se è vero che l’intimità, in poesia, a volte è un mediocre raccontarsi senza trasfigurazioni, questo non è il caso di Massimiliano Damaggio. Nel suo ultimo libro, Io scrivo nella tua lingua, il poeta rende la parola intima, la fa sua come se non fosse possibile una soluzione diversa da quella che gli dettano le sue parole. Scrivendo cerca la sintassi esatta che fa dei suoi versi cristalli. Poesia, la sua, che sale semplice dal foglio, ma dove la semplicità è sottile lavoro di elisioni, stupori, allusioni, echi, traduzioni: una sfavola moderna di emozioni reali in lingue diverse.(M.E.)
Io scrivo nella tua tua lingua è il verso scelto da Massimiliano Damaggio per intitolare la raccolta. Perché la rifrazione dei richiami è amplificata e sorretta proprio dalle sponde vive delle lingue, che offrono il fianco a ogni risonanza verbale e musicale. Damaggio è infatti traduttore di poesia dal portoghese, soprattutto – profondi sono i suoi legami con la poesia brasiliana – e dal greco. E la relazione tra il bambino e l’adulto di questa raccolta è costituita da un tessuto di lingue poetiche sempre al confine di se stesse, prima di trascolorare in altro.
(Dalla postfazione di Mia Lecomte)
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Massimiliano Damaggio vive in Grecia. Ultime pubblicazioni: Poesia come pietra (2011); Edifici pericolanti (2017); Ceux qui prennent un cafè face à la mer (Francia, 2017);; Paulo Leminski, Distratti viinceremo (traduzione, 2022).
I testi sono tratti da: Andrea Emo, Aforismi per vivere, Mimesis, Milano 2019.
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Quaderno 200
Alcuni corpi, come il legno, con la loro disintegrazione producono luce, calore – e cenere. Sembra quasi il simbolo e la direzione del destino. Tutta la luce, il calore, il valore dell’universo è forse l’effetto di una grande disintegrazione, una folle prodigalità, una corsa alla cenere. Anche la vita è luce e calore in quanto è un disintegrarsi.
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La lunga pace rende folli così come la lunga guerra rende saggi.
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Quaderno 233
Il paradiso e l’inferno, i due inenarrabili associati.
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La natura è per natura soprannaturale.
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Quaderno 255
L’amore è una morte in comune
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Una vita strettamente individuale è necessariamente un fallimento.
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Quaderno 376
I ricordi sono le Sirene nel mare del tempo, che invitano i naviganti di quel mare a perdersi in loro, a dimenticare il futuro. Anche i sogni sono le Sirene nel mare dell’inconscio.
*
La distanza è sempre melodica. Le campane che cantano melodiosamente nella bruma, e invitano gli uomini a credere. A che dobbiamo credere? Dobbiamo credere proprio al verbo credere.
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Chi non sa disegnare i suoi limiti, i suoi confini, deve accontentarsi dell’infinito.
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Quaderno 394
Quanto più l’amico delle Muse sente di essere libero e potente, cioè ispirato, tanto più egli sente di scrivere, comporre, inventare sotto dettatura: la sua libertà è questa costrizione.
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Noi siamo come una candela che si distrugge per illuminare. Non può essere luce se non è autodistruzione, se non si consuma fino alle tenebre. Non vi è conoscenza senza una fede e non vi è una fede che non sia conoscenza. Vi è una conoscenza pura? La luce della conoscenza è il più grande dei misteri, forse il più assurdo dei misteri.
Andrea Emo (1901–1983), filosofo appartato e inattuale, discendente di una nobile famiglia veneta, ha annotato le proprie riflessioni in decine di quaderni inediti che sono stati pubblicati postumi grazie all’interessamento di Massimo Cacciari e Giulio Giorelllo. Molti dei taccuini sono stati raccolti nel 2006 in Quaderni di metafisica 1927-1981.