*Il testo è tratto dalla raccolta inedita Semina e rovine.
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Or non ti resta più cosa nessuna
che aiutarla a morire a poco a poco
Amalia Guglielminettii
I
Ora un dolore trabocca di gesti,
tace indifferente, si nasconde tra la povertà
dei fiori e dei vestiti. I chiodi arroventati nel macramé.
Vino caldo, vetri di nebbia. Una chiarìa di recinti si avvolge,
tra le rocce. Non è un inverno morbido.
Con i libri, che portiamo a passeggio, e con lo stupore
di una perdita ultimata, anche l’ora, che distrugge e ricrea,
si annuncia in un ritorno più affollato. E lo schiavo
vuole entrare dalla porta d’ingresso mentre il comizio
sulla libertà ragiona in una via laterale, dove le agonie
si privano del soffio. Tu sai, in un rantolo,
soffocare gli animali che si stanano, quando il rabdomante
decide l’ordine e la specie di ogni arcobaleno.
Con chiarezza, in una pura dispersione musicale,
l’ira del paradiso
ci assale. La notizia, lo sai, è morta in un giornale macchiato.
Il paese franato si calmò un mattino d’agosto, con un bastone
di pioppo e la focaccia di farro.
II
Dove sono stato è un giro di falsi.
L’acqua gioca a sottrarsi e non è Via Ridola,
non è un viale di provincia questa luminosa veggenza
che ruota. Una fedeltà marmorea
come la notte e un dedalo che congiunge il peso al mondo,
così, negando il flusso, staccando il disordine
dai suoi rivoli di ruggine. Il canto si è gelato in una morte
senza simboli. E non è un contrassegno
neppure la stagione che assegnò un posto assoluto
al suo stesso bisogno di tornare, con un meccanismo compiuto:
la scodella di alluminio, il cestino di cuoio. E poi suor Rubina.
La vena verde del suo viso era un ponte in un paese di cera.
E un deserto bianchissimo appariva sospeso sul soffitto,
nel refettorio. Un ombrello grande ci accoglieva tutti.
Non era odio la natura del fratello non salvo. Io, per metà sommerso,
fissavo ogni cosa come un dono ricevuto.
Le zollette di zucchero, giunte dal Sussex,
restavano per anni intoccate come le amarene sottospirito.
Ora, lo vedo, le ombre del pomeriggio
accorrono in un angolo freddo e, per un istante,
migliaia di anni vengono fin qui come eserciti
per farsi tramandare.
Il bambino, con un gesto di sete, si copre,
incontrastato e indiscernibile.
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Giovanni Castiglia, Senza titolo