
Angelo Lumelli
**
Genova, Genova!… la folla di ogni cosa, folla di muri, di intonaci, di tinte sbiadite, di lastricati, di pietre scure, di cieli, di fessure, folla di folla… era tanto che non vedevo una città… che non mi sentivo un alveolo, beatitudine del negativo, subito ricompensato…cose che mi sollevano come in altalena…non in concorrenza, senza urti…
Mentre andavamo verso Via dei Giustiniani, guardavo le persone con una strana approvazione e gratitudine, la stessa, ma senza irrisione, che descrive il narratore ne La vecchiaia del bambino Matteo – quando s’accorge di ringraziare tutti i viventi che vede passare – era a Milano in Piazza XIV Maggio a bere Martini, a guardare – situazione non priva di comicità, come chi attribuisse, soprattutto agli sconosciuti, la prova della propria esistenza, in negativo, lastra impressionata da qualunque cosa. Ecco, c’è una dolcezza nel negativo, nella voragine della vita da dove risale l’aspirazione al contatto, al parlare, la strana emozione di salutare la persona sconosciuta in un vicolo troppo stretto, cosa che, fortunatamente, può succedere a Genova… con riserbo, sfiorando l’antica piaga, la malinconia di chi, simile, è passante…
Sentimenti del genere mi hanno invaso, di nascosto – o non troppo – mentre ero così contento di stare con voi – che non eravate il positivo dell’altro, ma contaminati da una somiglianza, pur con discrezione, come negativi che s’alleano, che possono festeggiare…
Quando t’ho detto di scrivere le lettere apocrife di Hegel ad Hölderlin, guarda che parlavo sul serio. Solo tu potresti farlo. T’immagini Hegel che si fa portare dal negativo come su una tavola da surf e risale l’onda, dimostrando come esso non sia che un avvallamento, liquida, ininterrotta continuità nei suoi mancamenti, là dove il suo compagno di scuola Friedrich era rimasto impigliato, mentre continuava a nascere, con la stessa meraviglia, lo stesso spavento… Ah quelle lettere ti aspettano, caro Marco, implicite nel grande faccione di Hegel, con le grandi borse sotto gli occhi – tutte le lacrime non piante? – che mentre pensa si ripensa, intr’estroverso! Penso che Hegel non abbia mai letto ciò Hölderlin scrisse, finalmente con un po’ di leggerezza, a proposito di poeti e filosofi: “Per i poeti infortunati al pari mio, esiste sempre l’ospedale della filosofia.” C’è un infortunio nella poesia? – una sosta un po’ più lunga, un troppo abitare, fino a perdere l’arte del cammino, la destrezza degli abbandoni?
Ti ricordi uno dei nostri quattro (adesso cinque) incontri? – questa storia te l’ho già raccontata più di una volta, la conto in giro, nei miei pochi giri… Si parlava di una delle ultime poesie della torre, Die Aussicht |La veduta. Io ricordo che ho deposto – questa è la parola giusta – la traduzione del primo verso davanti a te, come il supplice accende un cero alla madonna, affinché abbassi gli occhi, lo guardi. In quel primo verso ci sono due parole di sconcertante portata, mai pronunciate insieme: wohnend Leben | abitante vita – la quale vita in die Ferne geht |va lontano. Sono passati un po’ d’anni, ma non cambierei quella traduzione pazzesca: Abita la vita ed è lontana…
Complimenti, una volta tanto!…
Ti ricordi? – se adesso ci scriviamo lettere, se siamo andati addirittura a mangiare le acciughe ripiene in Via dei Giustiniani, è in seguito a quell’incontro e, per me, in seguito all’idea che tu avresti accettato quella traduzione impossibile, come si accetta un “nocciolo di pesca” da portare come ricordo. Ecco, le tue lettere apocrife di Hegel dovrebbero, almeno una di esse – scusa se mi porto un po’ troppo avanti – esprimere la devozione della filosofia di fronte di questo wohnen|abitare (anche senza Heidegger) – ed Hegel avrebbe finalmente bagnato quel foglio di lacrime (ah l’avesse mai fatto!) Chi lo sa? – magari scriverai davvero quelle lettere – magari Hegel è ancora in purgatorio ed esse potrebbero servire da raccomandazione, per un condono, una riduzione di pena…
Tu mi domandi di Milo (De Angelis), di pensieri, di posizioni teoriche, in realtà di come stare nel mondo, di come attraversare… con la poesia alle costole… È nota, ribadita, la nostra grande intimità di spirito negli anni della gioventù, il continuo indovinare le mosse dell’altro, come appoggiare le mani direttamente sul cuore…Tutto ciò è profondamente vero e vero rimane.