IL CANE NERO. Fabio Marabotto

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Il cane nero, mostra fotografica virtuale di Fabio Marabotto, pensata per il blog “Scritture” e ospitata in queste pagine, ferisce per la coerenza del tema: la solitudine urbana. Paesaggi e figure sono consegnati a un malinconico abbandono. Il cane, il bambino, i vecchi, lo scheletro, la spiaggia, la scala, la tomba, la panchina, il vicolo, il mare, sono cifre di un alfabeto che declina la sua timida, triste sopravvivenza. Ma nessuna delle fotografie rivela un compiacimento estetico nell’inquadratura, al contrario svela la solida fierezza del soggetto per come si mostra all’occhio che guarda. “L’attraversamento”, in questo senso, è l’immagine più emblematica: difficile sottrarsi al senso di pesantezza imposto dall’inquadratura al corpo senile che avanza nell’incrocio, ma nell’andatura della donna c’è anche una risolutezza, un persistere del vivente, una determinazione che la spinge costantemente a incunearsi nel mondo, anche se questo è inadeguato, estraneo, ostile. E nell’immagine così come la vediamo questo sentimento trapela dai minimi dettagli. “Il cane nero” spinge lo spettatore a occuparsi del cane, a guardare lui e non l’acqua intorno, spazio ben più vasto, dove la sua sagoma di animale spicca con chiarezza. Fabio Marabotto si può definire fotografo realista? Sì, se restituiamo al termine “realismo” tutta la sua intensità, comprensiva del reale e del pensiero sul reale, e l’attenzione dell’artista ai maestri (italiani, europei, americani), che lo hanno nutrito. In “Solo trafitto” un vecchio percorre il vicolo di una cittadina francese e dal fitto dell’ombra, da cui emerge un menu e la sigla di un antico bistrot, scaturisce una striscia di luce che lo trafigge, lo restituisce alla nostra attenzione. Immagini, sempre, perché le immagini non possono morire e vanno sempre cercate: costellano, interrompono, completano, complicano il nostro vedere. Anche la vecchiaia, la solitudine, sono illuminazioni che negano l’oscurità assoluta. Georges Didi-Hubermann commenta certe rarissime fotografie scattate nei “sonderkommando” dei campi di concentramento affermando che, del dolore dei lager, non si può dire che è indicibile e, di conseguenza, tacerlo senza raffigurarlo: occorre sempre vedere, anche un solo frammento, un segno, a dire che la vita c’è o c’è stata e che potrebbe tornare. Nelle fotografie di Marabotto la presenza della vita è costante, anche nel dolore dei temi che evoca. “La solita discesa al mare” non è solo il corpo senile che scende i gradini appoggiandosi al bastone, non è solo il tempo dell’età ultima ma, alla sinistra dello spettatore un riflesso di ombre che inquadra una capanna, delle piante, un paesaggio in un chiarore di luce. Qui, come in altre foto di Fabio, emerge l’intelligenza dolente dell’artista e lo spirito solare dell’uomo.(M.E.)

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L’indifferenza

Il cane nero

alla finestra

arte presepiale

call me

il bambino che correva incontro alle onde

il mio mondo è la panchina

il peso dell’anguria

il re dei piccioni

il vecchio e il mare

la pausa

la solita discesa al mare

la venditrice di lupini

l’attesa

l’attraversamento

l’uomo sulla spiaggia

mamma con bambino

passeggiata pomeridiana

passo svelto

poco prima del menu turistico

ritorno a casa

solo e trafitto

sotto il ponte di Arles

una preghiera per Oscar Wilde

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Fabio Marabotto, nato a Savona, passato poi per Genova e Milano, dove ha frequentato per anni la professione del libraio. Fotografo da sempre per passione verso le immagini del mondo che abita, nel tempo ha esposto nei luoghi meno consoni alla fotografia se non per la partecipazione alla 54° esposizione biennale d’arte di Venezia nella sezione ligure. Molti i fotografi da lui amati perché molti sono i temi su cui si è confrontato, ma su tutti gli italiani Branzi e Migliori, per il realismo dei primi tempi, e Giacomelli per la capacità di narrazione fotografica; mentre ha sicuramente tratto ispirazione da molti grandi del passato e non come Paul Strand, Eduard Weston, Robert Franck, Stephen Shore, Sebastiäo Salgado e Michael Ackerman. Attualmente vive alla ricerca del tempo e del paesaggio perduto nel monferrato astigiano perché, per dirla con Ansel Adams, “La fotografia di paesaggio è la prova suprema del fotografo, e spesso la sua delusione suprema”. E’ presente su facebook come fmf e su instagram come fabiomarabottofoto.

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