Discorso sacro di Elio Aristide, oratore.
a A.C.
28 gennaio 149
Sono arrivato nel santuario di Asclepio, a Pergamo, con uno scopo preciso: guarire. Riconquistare la voce che è mia e che un’oscura malattia mi impedisce di usare. Il mondo aspetta con ansia i miei discorsi e io non lo deluderò: ma mi occorre tempo. Da quando sono malato la voce è un sospiro fioco, che mi esce a malapena dalla bocca. In un sogno di otto mesi fa, quando nasceva la prima luna d’autunno, mi è apparso Apollo: al dio chiedevo come comportarmi, e lui mi disse che, per guarire, avrei dovuto trascrivere tutti i miei sogni.
Così sono giunto a Pergamo, per adempiere a quel comando. Trascrivo ogni notte delle scene bizzarre: scale che si affollano di nani, corde che oscillano su macerie, pozzi da cui nascono fiori. Distinguo un sogno dall’altro con chiarezza, senza capire nulla. Ma ricordo bene – non so perché – quello di ieri notte: io sollevavo il braccio, tutto era silenzio attorno a me, molte persone si preparavano ad ascoltarmi, radunate nella piazza: in quel momento un nugolo di cavallette scendeva dal cielo e disperdeva la folla. Il sogno continuava. Io sollevavo ancora il braccio ma questa volta era uno scroscio di pioggia a disperdere la gente. Poi vidi dei lampi, udii una frana, scrutai un incendio, soffrii un’epidemia. Eventi si susseguirono a eventi, sogno dopo sogno. Ogni volta ero cosciente che, nel momento in cui avessi iniziato a parlare, tutti mi avrebbero udito, stregati dalla mia voce, e le catastrofi sarebbero cessate.
Questa notte è diverso: sto sognando il sogno che mi guarirà, ne sono certo. Sono a Focea e il Dio è con me. Sollevo il braccio, parlo con voce chiara, intono il discorso. La voce mi esce fluente dalle labbra. A pochi metri da me, rannicchiato sopra un sasso, un vecchissimo saggio mi sussurra che non è più necessario. «L’uomo ha smesso di esistere – bisbiglia. «e quanto rimane di lui sono dei sassi incisi dalla sua mano, quelli dove vedi dipinte delle bocche spalancate. Non ti affannare più».
Smetto di sognare e lascio Pergamo. E’ inutile restare ancora nel santuario di Asclepio. Farò l’oratore, come mi ero augurato, e le mie parole scorreranno nel mondo, ma potrò mai dimenticare l’esatto significato del mio ultimo sogno?

Publio Elio Aristide