“RIBILANCIARE PER SOTTRAZIONE”. Elisa Longo.

Nota di lettura di Caterina Galizia a: Elisa Longo, Ribilanciare per sottrazione, prefazione di Giovanna Rosadini, Samuele editore, 2023.

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Strani versi questi di Elisa Longo, brevi, lancinanti o soavi, fatti di parole in bilico tra la più brutale quotidianità e la più raffinata forbitezza letteraria. Abolite le parole-scudo dietro le quali i poeti tanto spesso si nascondono, la nostra autrice imbraccia la parola come un Kalashnikov e il lettore deve stare molto attento a posizionarsi dalla parte giusta del mirino. Perché il messaggio che arriva, così come il nemico (p.11), è “sul caminetto…una testa di cerbiatta” che “segue con lo sguardo” e stana il lettore “in ogni angolo”. Questo vale soprattutto per la prima delle tre parti di cui si compone il libro. Essa pesca decisamente nelle zone d’ombra, quelle di cui solitamente noi umani ci vergogniamo, quelle che ci portano a non poter distinguere tra dolore e piacere, che rendono “dolce” il “succhio da vampiro” di chi “innalza” la nostra croce e ha “lo sguardo di chi stacca la coda a una lucertola”. Esiste una complicità attivata nei confronti della “gravità della sottrazione” (riconoscibile anche nello scritto dall’ambigua individuazione del soggetto di alcuni versi), che porta alla conclusione:

non c’è certezza del carnefice

né della vittima”.

A carnefice e vittima, infatti, sono state sottratte tutte le parti luminose: il controllo di entrambi è orientato a “intuire l’ora esatta della fine” e non l’ora esatta del ritorno di chi ha appena chiuso la porta dietro di sé. Perché la casa da cui si esce è anch’essa condannata (p.2):

“”appesa ad un gancio in bella mostra una muta del tempo che non concede

di capire quanto sia

violento

un discorso contromano

oltre il confine del fare

di una casa un nido

e non una macelleria

senza insegna all’ingresso.

Tutto ciò porta il climax a livelli insostenibili ed inevitabilmente, come accade in chimica “La massima pressione esplode in una fuga” che si materializza come descritto a p.8:

L’alito imbottigliato a morte

abbocca al fiato del primo venuto

-pur di prendere aria-”

Vince il bisogno:

Ho bisogno di andare di corpo

in corpo sbottonarmi

parola per parola”.

In questa prima parte è l’umano che la fa da padrone. Vegetali e animali compaiono poco e sempre in negativo “ratti e scarafaggi fanno tana”, “dove il disuso ha gonfiato i muri” e “le ossessioni sono insetti/ accartocciate dentro i rospi” ma la desinenza di accartocciate in e e non in i potrebbe segnalare una speranza: che la mutazione degenerativa non avvenga, che i rospi si tengano i loro parassiti e le ossessioni i loro fantasmi, logoranti, si, ma pur sempre ancorati all’umano.

Non so se esiste in Elisa la possibilità di scegliere se esporsi o no sbottonandosi “parola per parola”. La forza propulsiva che i versi comunicano, farebbe pensare più a uno stato di necessità senza alternative, a una poesia che esce da una porta con le mani alzate: l’irrimediabile sottrazione della resa. Lo spaesamento che ne deriva non può non contagiare anche il lettore che trema all’idea che la realtà dell’autrice possa appartenergli mettendolo a rischio di precipitare in una sorta di buco nero. In questi casi una delle difese più utilizzate è mettersi a discutere sulla validità poetica dell’opera.

Per fortuna, però, non esiste uno strumento tipo idrometro (“freatimetro” se si misura un pozzo, “scandaglio” se si misura il mare) per rilevare il livello di poesia all’interno di un testo ma certamente esso non dipende dall’operazione centripeta che può venir messa in atto così come non dipende dall’intento che ci si prefigge scrivendo: comunicare (con il mondo piuttosto che con i rappresentanti di una categoria o con un soggetto con nome e cognome), oppure imboccare l’unico viottolo che consente di salvare la pelle, o ancora riuscire a capire qualcosa del proprio caos o chissà cos’altro.

Bene. Toccato il fondo con la prima parte, si tenta con la seconda una risalita. Giovanna Rosadini, nell’ottima ed essenziale prefazione, descrive l’inizio di questo percorso come un “dialogo-radiografia” con un sé disperso che fatica a trovarsi:

Mi pare di essere

in una radiografia

altrove la bocca

intrappolata a spicchi

in uno specchietto da borsetta

minuscola e dislocata

*

Abbiamo tutti il nostro

cane immaginario

cui lanciamo il nostro osso di dolore

ancora e ancora

perché ce lo riporti”.

Nell’ultima parte avviene il ribilanciamento. Esso è reso possibile dalla presa di coscienza dell’inevitabilità di una sottrazione. Compare tra le righe anche il soccorso della scrittura nei confronti della quale l’autrice avanza, all’inizio, qualche perplessità:

scimmiotto il cielo con le parole

sono io che traduco
un campo in sillogismo

tradisco”

Viene spontaneo rassicurarla: “Ma quale tradimento se io, che leggo, il campo lo vedo?” E’ il miracolo della poesia che se c’è (è come la grazia: o c’è o non c’è) non consente tradimenti. L’unico tradimento possibile è l’inautentico ma allora la poesia non è neppure ipotizzabile, non è in discussione. E l’autentico, qui, ha il sapore della convalescenza, un attutirsi nella natura che prevede l’appassire senza che necessariamente compaia il soccombere. Perché per un’evoluzione ci vuole una perdita. Se il seme non si annientasse nella terra non ci sarebbe la spiga. E’ la sottrazione che consente “la speranza del bocciolo” che nasce da un’accurata potatura. Solo così:

è una rivelazione appartenersi

sentire di nuovo gli alluci dei piedi

anche se sono nelle scarpe

e non li vedi mai”.

Solo così ci si può “sbalordire della solidità dell’aria” (dell’aria o della poesia?)

Solo così si può recuperare il vantaggio del mancato possesso: niente di quello che satura un bisogno può insegnarci qualcosa. Il possesso impedisce lo scambio che, per avvenire, necessita di uno spazio intermedio tra due creature libere. Come Elisa e il suo gatto:

una gatta gironzola in giardino

-neppure lei è mia-

Poi mi s’infagotta accanto

in cerca di carezze, provo,

le gratto la testa….

quando smetto si gira

e con il muso mi cerca

la mano, m’insegna ad amare”-

**

Elisa Longo nasce nel 1974 a Tradate (VA). È specializzata in giornalismo e comunicazioni social. Ha pubblicato, in poesia: Buttate la poesia fra le gambe di una donna che passeggia (iQdB, 2018), Ho sbagliato tutto perché lo vedevo con i miei occhi (ibidem, 2020), e uno di racconti, Come se qualcuno vi vedesse nudi (ibidem, 2018). Il suo ultimo libro di poesie è Ribilanciare per sottrazione (Samuele editore, 2023).

Elisa Longo

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