Il dipinto prende la forma di ciò in cui ero coinvolto.
Mark Rothko

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L’ordine del cosmo
violato.
E Praga, dai tetti d’oro?
Ricordo erba su un prato, il giardiniere la falcia lento,
nessuna legge spiega nulla
nodi sciolgono e stringono attraggono e disperdono.
La materia potrebbe non avere corpi:
essere solo ponte fra cristallo e fumo.
Spia è il colore.
Il colore il segreto da salvare.
Ogni chiave segna una nuova porta.
Chiamo Medea un profilo rosso,
Oreste un cerchio nero.
Collere e pianti: un giallo senza ritorno.
Tutto presente. Nessuna ruga.
Il tempo: radice di forme.
Guardo paesaggi e figure, pronti finalmente
a sparire.
Nessun punto da cui partire,
nessun porto dove prevedere approdi.
L’ombra non è l’opposto della luce.
La tenebra non cancella l’oggetto.
Tutto è presente. Io non dipingo,
sono dentro la cosa, ne spremo
colore. La cosa si scheggia, sparisce,
ritorna. Nessuna sapienza
la sazia.
Dai vortici stalattiti, dalle macchie
cristalli. Diventare immobili:
puro quadrato bianco.
Semplifico segni, cancello presenze.
No alle vie del mondo, ai corpi in cammino.
Concentrare forme, colori. Non esco più dallo studio.
Dovrei?
Torno alla sorgente. La tela di un solo colore:
il grigio. Quella, la soglia
grande. Quella che tutti possono vedere,
nessuno varcare.
Ora sono puro, senza più peso. Ma può, il mio corpo,
diventare grigio?
Se lo svuoto.
Prepararlo
alla morte, giù, nel garage.
Il sangue che va via.
Io, accanto alla tela, opaca cosa.
Io. Lei. La fine. Avverrà.
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