I testi sono tratti da: Silvia Patrizio, Smentire il bianco, Arcipelago Itaca Edizioni, 2023

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Anche i poeti amati da Silvia partecipano a questa operazione di innesto e di riscrittura. Le citazioni sono più corpi in vita che parole e la diagnosi è più per penetrazione che per osservazione. La mancanza («l’infanzia che non ha fotografie»), l’assenza, il «respiro ribattuto…», il vuoto rappresentano forse il bianco da smentire. O da mentire. Se domandiamo alla memoria soltanto un’informazione (o un colore) di ordine intellettuale la memoria ce la restituisce senza la sensazione di evocare niente da noi stessi. In questa raccolta, invece, Silvia si abbandona a una conversazione intima col passato elaborandolo attraverso un’indagine endoscopica rigenerativa.
(Da Una pagina per Silvia di Andrea De Alberti)
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Il sapore è quotidiano, del cibo annerito
sui fornelli, e un sollievo di torta alle mele.
Non c’è altro da prelevare all’incoscienza
tenuta nel rilievo
di una telefonata attesa, e subito
ritratta dalla mancanza d’aria che si apre
appena prima di avvistare
le pareti, o sospettarle.
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Eppure ha senso adeguare un campionario
di pensieri declinandoli al già visto:
il tavolo il rimprovero dei libri
lo specchio il lampadario che fa scudo
del suo doppio e quel tango inappagato
che ritorna, compromesso a ogni curva
come un respiro ribattuto…
*
Il danno ha i contorni del corpo
– lesioni ispessimento terapia –
sorprende nomi inediti alle cose
e li chiarisce
nel suo lessico d’aghi
che scuce le vertebre e sceglie
una posizione alla paura.
Il corpo è una fessura, la metà di un errore
fissato tra le otto e le nove
di un intero inverno.
Ma sarà rapida
la sera, col suo affamarsi di spettri:
antidoti che il calcolo frantuma.
*
Cosa classifica la gioia? Che cosa captano i segnali?
Cosa ti lega al tuo narrare? Adesso basta, è innaturale
come affondare nel piatto le date importanti
ma viene ancora da inventare
un balcone per la casa di viale dei Tigli
l’infanzia che non ha fotografie
un traghetto che ogni anno lascia il golfo
per un alito lievissimo
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Silvia Patrizio
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Questa poesia sceglie la parola come radiografia del proprio essere-nel-mondo (“Appartenevi all’indulgenza delle foglie, / al chiodo che cresce la sua ombra / sul rovescio dell’insonnia. Eri il fuoco / gettato sull’amore / dalla parola amore”). Smentisce il bianco del silenzio per riordinare la propria voce, la propria intima conversazione con se stessi, unica terapia contro il dolore. (È la lingua a interdire / l’esperienza autoimmune del rimorso / (nel diario tra parentesi aggiungevo / il blues è un suono, un’intenzione / l’errore è nel respiro). Il poemetto Medea – un intermezzo a più voci – ci racconta come sia necessario ri-narrare il mito perché l’uomo si re-interroghi sul proprio presente, dove i vivi parlano ai morti, e scelga una posizione per la propria paura: (“Ora è spina / questa fibra di voce, la lingua che si fa / memoria, / destinazione della mano”). Il libro si chiude slacciando visioni, ritrovando radici, in un movimento delicato e rigoroso di equilibrio, dove per “equilibrio” intendiamo un silenzioso accordo dell’angoscia con il rigore della frase poetica: “Lo spessore che prima era rifugio / ora è vento che slaccia le visioni / e annuncia l’inverno. Piove / – non temere la morte per acqua – / Ecco il dettaglio, l’ultimo / a chiudere la scena: / l’inchino del salice / sulle sue radici”. (M.E.)

Giovanni Castiglia