*I testi sono tratti da: Lucetta Frisa, La lezione degli dèi, Il Cappellaio Matto 22, a cura di Vincenzo Guarracino, New Press Edizioni, Como. 2023.

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Dalla prefazione di Marco Ercolani
*Soffrire di metamorfosi
“Il poeta soffre di meraviglie” scrive Nanni Cagnone. E aggiungerei: soffre anche di metamorfosi. Nella parola si apre sempre un varco, da cui sbucare inattesa, vertiginosa. La poesia, in quanto esperienza dell’impossibile, ci racconta di un luogo dell’origine traversato dai miti, un luogo che però resta archetipo delle passioni originarie. Ogni poesia efficace e sincera è la versione che il poeta ci offre del suo personale grido di dolore. Di fronte all’irruzione di quanto fa ammutolire, il poeta tesse parole non consolatrici, che lo sprofondano in un felice desiderio di fuga da sé, di trasformazione dell’essere: “Voleva perdere la sua identità / e non sa ancora se l’ebbe davvero / non volle mai cambiare la figura / l’infanzia il desiderio ed il pensiero; / soltanto non vuole più essere lei / non essere più un’umana creatura / ma appartenere solo all’universo / sotto altra forma o colore e leggera / spalancarsi e ridere. Nelle favole / gli animali si trasformano in uomini, / massimo premio degli dèi, ma lei / chiedeva loro un’opposta magia: / mutarsi voleva in animale / divino di compagnia”.
Non soltanto di meraviglie soffre il poeta ma anche di costanti metamorfosi, che lo guidano turbato verso isole sconosciute, anche quando crede di essere il tranquillo abitante della sua antica casa. Ogni poeta vero può non riascoltare, per l’ennesima volta, la “lezione degli dèi”? La visione di Frisa non prevede e non prescrive limiti: invita all’erranza, allo sperdimento, e alla musicale narrazione di quell’erranza. Non si possono leggere queste poesie sperando di ricavarne una qualche teoria; si può solo trovare, nella misura meditata e ardente dei versi, la traccia di un cammino che si snoda fra lontananze e riflessi, errori ed enigmi: “un segno degli dèi forse un loro errore / forse un enigma difficile che neppure / la sfinge avrebbe potuto chiarire”. La poesia di Lucetta respira all’interno di una linea ondulata ma ferma, dove le immagini che affiorano evocano le emozioni del pensiero attraverso una scrittura vibrante, politonale, commossa ma fiera, sempre modellata in un suo felice equilibrio sonoro.
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Clitemnestra, Agamennone
C’è chi sa incenerire un amore
per un delitto senza rimorsi
in un attimo copre di nero il suo corpo
e non lo ricorda più:
il fuoco e il sangue sono affini e puri.
Muore di fuoco chi è onesto lotta e perde
diventa quell’aria fine che gli dèi respirano.
Ma l’acqua calma sta nel ventre della madre
deve morirci dentro chi non riesce a nascere
ad avere un nome, morirci chi è sleale e con dolcezza
tradisce chi lo ha amato, guardandolo negli occhi.
La rete maliosa lo lega affogandolo illuso
di essere tornato nel grembo
inerme pulito sazio prediletto e torpido
nei giochi oziosi e orizzontali come al principio della vita.
Così il grande eroe dovrà morire senza onore.
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Atteone, Diana
Sapeva guardare e guardando imparava
le cose che gli mostrava la Natura
e quelle scritte nei libri dei sapienti
così tutto poteva apparire
facile possibile chiaro. Ma sentiva
che più imparava meno sapeva
e qualcosa gli sfuggiva sempre
e sempre ancora solo andava
disperato piangendo i suoi confini.
Poi una luce furiosa e feroce lo accecò
alzando cortine di nuvole e fumo
e dentro quella speciale cecità infine
eccola, è lei.
Subito morsi di cani emersi
dagli inferi e ferite di corna angeliche
lo ridussero a una poltiglia sanguinosa:
così se ne andò da questo mondo
insieme a quel mistero che finalmente
lo portava via.
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Nausicaa, Ulisse
Qualcuno mi disse di un uomo diverso
che parla una lingua più aspra della nostra
simile a un singhiozzo?
Un uomo nudo e ferito in tutto il corpo
con mani scorticate ma con gli occhi
che tremano non so se per la gioia
di questo approdo o d’incertezza. Da dove
viene? Ha traversato a nuoto questo mare
infinito sempre in burrasca? E’ un dio
marino o un demone emerso dal fondo
messaggero di sciagure?
L’ho scoperto su questa spiaggia sassosa
che dormiva. Vinto da stanchezza, certo,
e nel sonno sembrava voler tenere con sé
tutte le voci e i silenzi del mare.
Dopo avere ascoltato giorno e notte il racconto
dello straniero accolto nel palazzo di mio padre
(sembrava felicemente stupito della nostra generosa ospitalità)
capii come ignorasse il nostro modo di essere e nulla
sapesse del sonno e dei sogni, nulla dell’isola dei Feaci.
Ascoltavo come non avevo mai ascoltato prima
e giorno dopo giorno vedevo il nostro grandioso palazzo
disfarsi, le sue pareti volare come vele bianche di nave
ai soffi del vento, Il viso paterno perdere i tratti così quello dei fratelli
e delle mie belle schiave: non potevo toccare nessuno
perché tutto si scioglieva lieve come neve al sole
tutto diventava aria tutto tornava all’origine,
Al termine del racconto più nulla e nessuno esisteva.
Nausicaa figlia di Alcinoo, principessa di un’isola felice,
non c’era più. Ma solo chi avrebbe seguito
lo straniero per sempre, lottato accanto a lui, incontrato
divinità ostili, nemici astuti, spogliata dei suoi abiti
d’oro dei gioielli della sua vita inconsistente.
Sarebbe stata una donna che si feriva le mani.
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Ifigenia
Il padre è un dio per la famiglia; comanda
punisce è potente come in guerra.
Ma l’altra notte l’ho spiato nell’orto
che sussurrava a qualcuno che non vedevo
sospirando diceva eseguirò
la tua volontà se è questo che mi chiedi.
Gli chiedeva un sacrificio umano
come prezzo della sua vittoria a Troia.
Il sacrificio ero io: Ifigenia sua figlia.
Poi non so come andarono le cose.
Fui presa di forza, legata come
una bestia, stordita con una bevanda
amarissima. Non ricordo null’altro.
Ora sono qui con un lungo abito
bianco a vegliare il tempio della dea
che mi ha salvato .Siamo tutte donne
vergini preghiamo la luna e danziamo
lungamente al suo chiarore.
Se sono felice non lo saprò mai.
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Da Il dolore si nasconde in un sorriso
Voleva perdere la sua identità
e non sa ancora se l’ebbe davvero
non volle mai cambiare la figura
l’infanzia il desiderio ed il pensiero
soltanto non vuole più essere lei
non essere più un’umana creatura
ma appartenere solo all’universo
sotto altra forma o colore e leggera
spalancarsi e ridere. Nelle favole
gli animali si trasformano in uomini,
massimo premio degli dèi, ma lei
chiede loro un’opposta magia:
mutarsi voleva in animale
divino di compagnia.
Un giorno scrissi : Lucetta Frisa mi meraviglia anche quando non scrive. Ebbene confermo questo mio dire. Nel momento in cui ella si sveglia dal suo (apparente) letargo, eccola che ci regala queste faville. E questa volta è il lettore a spalancate gli occhi…
Viviane Ciampi
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