SU POESIA E FILOSOFIA. Rubina Giorgi

Su poesia e filosofia*

Serigrafia di Paola Pezzi, realizzata per il libro di Rubina Giorgi Una vita imperfetta, Brescia, L’obliquo, 1992.

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C’è possibilità, per letteratura e filosofia – se vogliamo ora guardare a ciò che hanno davanti a loro –, che ci si trovi al cospetto di una situazione mitica, nella probabilità di una «nuova mitologia», dove il «mitico» sarebbe offerto dal chiaro processo del finire umanocentrico; un finire nel quale tutto muta dell’ente che è in questione, l’uomo, così che la metamorfosi ecco richiami il mitico. Un mitico della fine, come c’è un mitico degli inizi – e sarebbe erroneo pensare che «mitico» vi sia soltanto agli inizi, sarebbe come ritenere che l’iniziale sia il «primitivo», che il mitico sia il «primitivo». Forse piuttosto il mitico è delle situazioni estreme, così del primordiale e così del finale – per non soffermarci ora sul fatto che primordiale e finale si implicano anche. E se ciò vale, il mitico è del simbolico (ma non era di questo che volevo parlare), essendo il SYMBOLON ciò che integra, completa, dunque estremizza, situazioni eventi figure fatti, lasciando vedere, o intravedere, il RESTO, i possibili. E forse il symbolon c’entra anche perché il letterario e il filosofico, se in qualche modo debbono affrontare il loro perpetuo affrontarsi, debbono farlo in qualcosa che va oltre di loro, e direi nella loro estremizzazione ancora (di volta in volta) vuota e sempre pronta: nel symbolon appunto.

Se il Symbolon è il contenitore – che contiene e il contenibile e l’incontenibile, e l’“uno” e l’“altro”, e il qui e l’altrove e che è per essere rotto e, quando si rompe, mostra tutto, ed è come se non ci fosse così estremizzando se stesso, energia potenza e sorgente calore pre-creante (pro-creante) della mente –, l’estremità di situazione introduce nelle potenzialità dei modi figuranti esprimenti, le tiene aperte e mobili: su che si stanno misurando e si misureranno letteratura e filosofia? Per ciò che precede, sul mutare della fine (proprio della fine), ossia su un nuovo De rerum natura credo. Una creazione, una mitologia, in scrittura che forse è già in corso, che incombe su di noi, che ci contiene e ci scrive, un poema-sistema del mondo, non un’opera individuale, ad una moltitudine aperta di voci, che dice canta e scrive anche chi non scrive, per poco che in qualche modo canti.

Non è vero che poesia e filosofia hanno sempre bisogno di rapportarsi a inizi e fini, dunque di agire su situazioni estremizzate? Ciò è troppo vago, non ci dà la figura dei loro percorsi?

Vago per vago soggiungo un’altra cosa vaga: non potrebbe essere il pensiero della “complessità”, sue estensioni e radici filosofico-poetiche, date le funzioni globalizzanti del symbolon, ad indicare prossimo-futuri cammini per poesia e filosofia?

* Estratto da una lettera a Giuseppe Zuccarino, datata «Salerno, 7 novembre 1990». Il titolo è redazionale.

Rubina Giorgi

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