PER “NOTHING”. Caterina Galizia

**

**

Sembra il più caotico, il più disorientante dei libri che ho letto finora di questo autore e invece paradossalmente, a ben vedere, è il più centrato su un tema che aleggia attorno ai versi esemplari (l’emergenza dei sistemi, p.85)

non so che pensare, come fare quello che dico si disfa mentre lo dico

E (per una nuova cultura, p.84):

Lo slittamento del corpo della lingua una sorta di vestito chiamato a servire

l’architrave fondativa si dimentica degli umani estensione di predicati.”

Qui si tratta di capire perché questo libro descriva una lingua così in crisi. Per quello che so di Coviello, il linguaggio di cui parla dovrebbe essere quello mutuato dall’amato Lacan, a somiglianza del quale è strutturato l’inconscio, lo stesso di cui l’animale-uomo è preda ma che lo fonda come soggetto. Ma allora perché “una sorta di vestito”? Del vestito, infatti, se si vuole, ci si può liberare e restare nudi, ma del linguaggio no perché è proprio quello che ci struttura. E’ di qui che viene il titolo che, se ci si pensa, è ben tragico? Questo “nulla” che lui sente sia in quello che “si disfa mentre lo dici”, sia nel corpo che rimane senza protezione quando le parole, dentro le quali si nasconde il poeta, sono venute meno?

A questa domanda può rispondere solamente l’autore. Michelangelo gentilmente mi spiega.

Nothing è quanto rimane dopo una vita spesa a scorrazzare in lungo e in largo nel linguaggio. E’ una sorta di coscienza-paura; consegue alla quotidiana aggressione che ognuno di noi subisce da ammassi verbali ad alta inconsistenza per cui (cito le sue parole) ‘la lingua non è più un patrimonio del soggetto’. Ciò genera una frattura ‘è la frattura è dentro al silenzio della lingua degli altri’’”.

La lingua degli altri. In effetti gran parte di questo lavoro si sviluppa come un collage di frasi, registrate nel momento in cui raggiungono l’autore dall’esterno virtuale o reale. Sembrerebbe una resa provocatoriamente consapevole al “luogo comune”; essa, però, viene saltuariamente interrotta da lampi di autenticità che Coviello solitamente concentra in brevi frasi o in uno o due versi in cui passa i suoi messaggi di sempre: la poesia come “conoscenza di ciò che uno non sa di sé”

Stiamo vivendo a proprio piacimento” p.83

o solo desiderio o solo l’infinito” p. 82

murati vivi passatempi sociali” p.78

ho pensato di passare di fronte

cercando il fenomeno il ciò che riluce.” p. 75

andarsene così con passi d’aria” p. 55

ciascuno si ritaglia nella sfuggente

parola e così via.” p. 53

oppure la poesia come “gioco di dissacrazione”:

attrae di più uno che pensa?” p.8

bellezza culo estremo” p.7

questionando conquistava” p.13

coniugi amici due mali” p. 15

animo elevato il cul combatte” p.16

sarà l’egoismo principio universale?” p.17

E, soprattutto, la poesia come ricerca. Molte sono le proposte che l’autore ha presentato nel corso della sua opera. Qui, nella “ Via crucis”, invita a decodificare un idioma escogitato ex novo per ironizzare sulla prosopopea della lingua “colta” per antonomasia (il latino). In “Cuore battaglia” richiede complicità e tolleranza al lettore che, trovandosi davanti ad un’assenza totale di punteggiatura, deve per forza prefigurarsela se vuole dare allo scritto un senso (con la spina nel fianco del dubbio di stravolgere completamente il pensiero di chi scrive).

Comunque, mentre in passato Michelangelo mi è sempre apparso come il grande giocoliere dei punti di vista che riesce a far convivere anche se (o soprattutto perché) antitetici, qui mi sembra inesorabilmente catturato da questo unico tema: lo strapotere della parola che, dopo averli fondati, si dimentica degli umani. Gli umani, però, non possono dimenticarsi di lei.

Parlando” dice Coviello, “bellezza morsi”. (Amore battaglia, p.9)

E ancora:

“ …e ora corri dove più ti piace voce alterata cos’è mai la bellezza? è il rivedersi presto logoro nome che patimmo un giorno”(Cuore battaglia p.30).

Ma se ti piacesse di me che sono apparecchiata cos’è la bellezza? Troppo sarebbe la voglia in cui mi trasformai ti porto in bocca come una canzone.” (p.31)

Cos’è mai la bellezza? Senza fare altri giri tenerla segreta o buttarla fuori farsi male aiutarla in ogni modo.” (p..33)

“…cos’è mai la bellezza? Pelle senza odore colta da corpo e coltivata bianca e perfetta su tutta la notte fin quando l’alba avida e aspra senza più profumi immensa corre insieme a lei” (p. 34)

a te che porti il cielo nello sguardo e parole profumate dell’amante lontano cos’è mai la bellezza?” (p. 35)

cos’è mai la bellezza?…lettere e quaderni dove piove in superficie e tutto passa come nave al tramonto queste parole quiete sul cuore a sua insaputa” (p.38)

Tollerare questa commistione che abita la parola da una parte alienante e dall’altra “dolce ragione sola” della vita è l’obiettivo di questo testo che si accolla coraggiosamente la fatica di esprimere, ma nello stesso momento mettere in dubbio, la propria fede nella lingua, di sfidare per lei vertiginose arrampicate sulle pareti dell’immaginario, di arrovellarsi nella ricerca dell’esemplare più convincente tra i termini noti e i luoghi comuni e nell’invenzione per lui di un senso che gli consenta ribellione e rinascita.

Michelangelo Coviello

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...