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Mi parlano, mi placano con le loro parole, questo credono. Mi distraggono da te. Ti strappano. Ti estraggono, ti portano lontano. Dove non posso ascoltarti. Sono troppe le loro parole sono troppe, fanno rumore, crepitano (sono prestigidatori, loro, le scintille del nero acciecano ogni colore), e inoltre le scrivono, le annotano, le vedo lì ritte contro il muro bianco, e hanno gli occhi scuri, lo sguardo scuro, il corpo nero. Non voglio che mi tocchino. Mi promettono carezze, altre, mai più nostre, altre, oscure. Non parlano di speranza, dicono aspettative, e arricciano la bocca e sorridono, sanno molto più di me, e vivranno più a lungo di me per dire più forte quello che dicono che non so. Sono loro, arrivano sempre al momento della sconfitta, sono più grandi. Mi hanno rinchiuso in un quadrato secco, e ci hanno buttato dentro le loro parole. Mi hanno lasciato sola, ho tenuto le mie, quelle di allora, le mie per te, e le ho mescolate con le loro, ho fatto un corpo e l’ho messo a respirare al posto del mio, l’ho lasciato dentro il quadrato secco. Non volli che si presentasse nessuno, nemmeno io che mi accucciavo, rimpicciolita e incapace di dire nulla. Ogni volta più secco, il corpo, venivano a trovarlo, stava meglio, dicevano, e parlavano di quella cosa. E io non comprendo. Per quanto piccola io sia, guardandolo, me ne dimentico. Non potevo provare. L’asciutto era opaco. Loro continuano a parlare. In questo corpo ci sono troppe parole. Puzza. Mi fanno impazzire. Io so. Mi parlano. Di nulla. Non so.
(Da Ronda de noche, traduzione di Alessando Prusso, Editorial de l’imposibile, Genova, 2022)
