Tutte le immagini e le fotografie sono opere di Wols.

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Wols è lo pseudonimo di Alfred Otto Wolfang Schulze. Nasce a Berlino il 27 maggio 1913 e muore a Parigi il 1 settembre 1951. Dopo aver compiuto gli studî liceali a Dresda trascorre quattro mesi presso il Bauhaus di Dessau, dove studia con Ludwig Mies van De Rohe e Moholy Nagy. Nel 1933 si stabilisce a Parigi, dove incontra Jean Miró, Max Ernst, Tristan Tzara e Alexander Calder. Per guadagnarsi da vivere fa il fotografo; nel 1937 espone le sue fotografie alla libreria “Les Pléiades”. In quell’occasione assume lo pseudonimo di Wols. Comincia a disegnare e a dipingere e intensifica la sua attività durante il periodo del suo internamento (in quanto cittadino tedesco) all’inizio della guerra. Rilasciato nel 1940, vive a Cassis e Dieulefit; poi, dopo il 1945, a Parigi, dove conosce Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Si dedica all’illustrazione di libri di Sartre (Visages, 1948; Nourritures, 1949) e di Kafka (L’invité des morts, 1948). Nel 1947 espone alla Galerie Drouin, nel 1949 alla Gall. al Milione a Milano, nel 1950 alla Hugo Gall a New York. Nel 1958 la Biennale di Venezia allestisce una sua importante retrospettiva. Influenzato agli inizî soprattutto da Paul Klee e da surrealisti come Miró e Arp, Wols arriva ad elaborare un’immagine astratta libera da ogni forma mentale precostituita: si affida alla vibrazione del segno e di tutto il tessuto pittorico. Se per Klee si può ancora parlare di un elemento poetico divenuto forma, in Wols l’elemento poetico trasfonde direttamente nel processo del dipingere. Poeta e musicista, oltre che pittore, assillato da pensieri scientifici e filosofici, autore di aforismi e pensieri in libertà, Wols è il più autentico artista della corrente “informale”: converge tutte le energie vitali nella pittura e le fa vibrare come sismografi nel punto estremo in cui sfumano nel mondo del sogno e dell’alienazione senza mai dissolversi del tutto. (M.E.)
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“Qui si rivelano le qualità di un’era”, “qui vi sono tutte le sue tensioni”. Così scrisse il critico d’arte Carl Jakob Burckhardt nel 1947 dopo avere assistito alla mostra di Wolfgang Schulze, in arte Wols, presso la Galerie Drouin di Parigi. A distanza di più di mezzo secolo non si può che dare ragione al suo giudizio. Ancora oggi le opere di Wols sono cariche di un’angoscia interiore comune al suo autore, artista tanto geniale quanto dalla vita irregolare, vittima tanto di sé stesso che di un’epoca, quella degli anni ‘30 e ‘40, che schiacciò la sua sensibilità, rendendolo grande come fotografo solo a posteriori grazie alle Documenta di Kassel (1955, 1959, 1964) della Biennale di Venezia del 1958.
Quest’ansia generale è ben riscontrabile al Martin Gropius Bau di Berlino dove dal 15 marzo al 22 giugno del 2014 è di scena la mostra Wols Photographer – The Guarded Look (Lo sguardo salvato), raccolta di più di un centinaio di suoi lavori solo fotografici (niente quindi della sua produzione da pittore). Inizialmente allestita l’anno scorso a Dresda in occasione del centesimo anniversario della nascita dell’artista che nella città sassone passò l’infanzia (ma i suoi natali furono a Berlino), il titolo dell’esposizione ha una sua giustificazione prima di tutto storica: quasi tutte le opere mostrate al Martin Gropius Bau fanno parte dell’archivio messo a disposizione dalla sorella di Wols, Elfriede Schulze-Battmann che fin dalla morte del fratello si preoccupò di raccoglierne e preservarne tutto il materiale prodotto durante la sua breve, ma variegata, vita in giro per l’Europa.Il percorso dell’esposizione è ordinato cronologicamente. A seconda del periodo della sua vita, Wols fotografò soggetti e con tecniche differenti, senza mai tornare indietro. Ecco quindi, in successione, i primi ritratti in bianco e nero a modelle ed attrici, le foto di strada sia tedesche che francesi (si trasferì a Parigi nel 1932 dove fu coinvolto nel movimento surrealista senza mai davvero abbracciarlo), le varie nature morte e quell’astrattismo sempre più protagonista degli scatti della sua ultima parte di vita quando, parallelamente, Wols si affermava come uno dei maggiori rappresentanti della cosiddetta Arte Informale. Purtroppo erano già gli anni in cui la sua salute veniva debilitata dall’alcolismo, una progressivo decadimento fisico che lo avrebbe portato alla prematura morte a 38 anni, a Parigi, per avvelenamento da cibo. Così lo ricordò successivamente Jean Paul Sartre, colui che assieme a Simone de Beauvoir all’epoca lo avevano avvicinato al pensiero esistenzialista. “Ho incontrato Wols nel ‘45, calvo, con una bottiglia e una borsa da mendicante. In quella borsa c’era il mondo, c’erano le sue preoccupazioni. Nella bottiglia c’era la sua morte. Era stato bello un tempo, ma non lo era più. Aveva 33 anni, ma guardandolo nessuno lo avrebbe poturo immaginare senza quella giovanile tristezza nei suoi occhi. Tutti, lui per prima, pensavano che non avrebbe più potuto tornare indietro da quella situazione”.(Andrea d’Addio)










