HORAE. Alfonso Guida

Wols

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ORA PRIMA

Nevicherà stasera. È la speranza dei vecchi.

L’aria ha una dolce calma e punge i corpi nell’ombra.

Niente avviene. Il principio dispone il suo futuro minimo.

Pala e foglio, ognuno col suo talento.

Sono stanco, ma anche oggi inginocchiarmi e scavare.

ORA SECONDA

La ferita all’aperto è un muro a calce. Oppure esce

dai vetri dei negozi, dalla carriola piena d’erba

dei netturbini. Ascolta le previsioni meteo,

la viabilità. Il canto delle spine è sommesso.

La cenere è un volo d’inverno che, soffiando, dirigi.

Il caffè bollente anticipa le stazioni del giorno.

Le scarpe ancora vuote, il sole inutilmente sulle ossa.

Gli ippocastani in piazza, comuni carcasse tra i corvi.

ORA TERZA

Mezza luce, l’indugio tra le tempie.

Queste nostre preghiere avvinte al vezzo avaro del viatico.

Viandante e vento, vanità del veleno, violenza

velata del vuoto. Insensate invenzioni. Avvero il senso

di minaccia che percuote le labbra. Quante parole

spogliate e spaventate resteranno mute, in disparte.

ORA QUARTA

No no non voglio stare troppo in alto.

Devo ascoltare la ruota frenetica,

gli anni di quest’ora, il minuto esterno,

l’età in cui dio sarà ripetizione.

ORA QUINTA

Per pudore, costruisci una distanza coi vestiti.

Crei un equilibrio, tra ritualità e rettitudine.

Scegli una stanza anteriore al tuo luogo,

fai entrare, attento, i millenni e i secoli più vecchi.

Non ami il tuo tempo, escludi i colloqui.

Tutto va. Ogni cosa si trasferisce.

ORA SESTA

Nel mio dolore c’è Camillo Sbarbaro.

Sul pagliericcio di Seneca dorme,

patetico, l’orfano. L’orto è l’ordine.

Lì aggiusto i contrari e accoppio gli ossimori.

Che rapporto c’è tra ossa e sigarette?

Le ossa carbonizzate, già, una vecchia

cronaca, oggi, l’indulto e l’indulgenza,

la virilità adulta, la sapienza.

***

Ennio Morlotti

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COSCIENZA CONSEGUENTE

Consegue alla coscienza

di abitare un fosso la realtà

che un quaderno riesce a tenere esatta.

Precisando il centro, non alterando.

La mano, il foglio. Eppure viene un grappolo,

si frantuma l’ attesa. Nel contrario lanciarsi,

prevedere il versetto, non vedermi

nudo, lontano, farmi prova, indizio.

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Un matto allentare lupi nel bosco,

questo, tra le Bic nere, fu impazzire.

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Mente come chiesa di San Medardo,

cripta dei voti piena di dentiere,

calchi di molari. E i voti dei pazzi

diversi, un velo, un nastro del battesimo.

**

Questo fu impazzire. Giocare a scacchi

col tiranno, andare incontro alla mossa

che decide del livello d’invaso.

**

La voce, troncando la sua dizione,

teme. La volta brucia,

mi sprofondo in bocca, spalano, spalano.

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Dipingi San Mauro a grosse gocce di latte,

ringrazi ogni sera la Mezza Signora che si affaccia

dalla feritoia centrale della torre normanna.

Scendi, tra caditoie cadenzate e maldestre chiaviche,

chiacchiere fatate, calce, tubercoli cotti,

ti distrai, ti distendi, trovi un vicolo cieco, balbetti

cretto, strettoia, angiporto, passi in rassegna il variabile

dell’iride, il lirismo di una specie minore

di bestiario e di novelliere coi quadri verniciati

di nero-Goya o nero-Dorè. Scendi, rispolveri

gli inizi, ingaggi la masnada dei fallimenti,

ripeti la tenebra e lo stellato, ripeti

che qualcosa hai visto e perduto, una linea che divideva

dall’interno la dismisura a imbuto. Poi sei affondato.

(Inediti, gennaio 2023)

Francisco Goya

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