D I Ö S T E R I A. Chiara Daino, Marcello Ferrau

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«E tratta il libro degli orribili fatti e prodezze di Pantagruele al cui servizio io fui appena uscito di paggio fino ad ora che con sua licenza me ne son venuto a visitare un tantino il mio paese vacchereccio e a vedere se viva ancora qualcuno de’ miei parenti. Ma, per terminare questo prologo, così come io mi dono corpo e anima, trippe e budella a centomila panierate di bei diavoli se dirò una sola bugia in tutta questa storia, parimenti voglio che vi bruci il fuoco di Sant’Antonio, vi atterri il mal caduco, un fulmine vi fulmini, l’ulcera v’impiaghi, vi colga il cacasangue, e il fuoco fino di riccaracca, sottile come pel di vacca, tutto rinforzato d’argento vivo, possa entrarvi nel culo, e che possiate come Sodoma e Gomorra precipitare in zolfo, fuoco e abisso, se non crederete fermamente a tutto ciò che racconterò in questa presente Cronica».

Le parole del prologo del Gargantua e Pantagruele i Rabelais trasformano il mondo in una pasta che può lievitare solo con l’arte del dileggio e dell’invettiva: creano un contromondo dove domina lo sberleffo ingiurioso e l’ira feroce, dove il lettore non può accomodarsi in nessuna nicchia poetica, perché viene schiaffeggiato e irriso come accade nel nuovo libro, DIÖSTERIA, di Chiara Daino/Marcello Ferrau. Questa turbolenza, scatenata dal demone alcolico, consente agli autori di ipnotizzare il lettore nel loro tragico “scherzare” il mondo, trasformando l’opera a due in ridente trofeo funebre di una straziata vittoria (sintattica, antilirica, da proiettile di imminente esplosione) contro la comoda, inetta società dei viventi astemi. È il riso burlador, intriso di acrobatiche erudizioni e virtuosismi linguistici, a dominare la scena, lasciando sconcertati e senza appiglio i malcapitati lettori caduti nel gorgo sfrenato ma esatto delle parole alcolemiche. Ma, dopo queste brevi righe, è necessario “sorseggiare” DIÖSTERIA, dove, alle canzoni da osteria e alle beffarde parodie di celebri poeti, si alternano citazioni illustri della transe alcolica e spassose scene psicoanalitiche, dove a vincere ridendo non è certo il genius dell’indagine psichica ma il dio trickster dell’euforia dionisiaca. (M.E.)

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MATITE E PATITE

È poeta è.

Una carogna ghiotta d’inutile

che stima prefiche

ma spaccia prediche;

frutta bene: sfrutta il male civile.

E l’epato è.

Una parola da storie cliniche

che ammorba il fragile;

bevi? Sei labile

frutto – marcio: rutto rime cariche.

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PINTA SPINTA

Io la Pinta – di birra ben riempita

di Schiuma – due le dita:

tutt’in gola. Son finita.

La Rima non in vita:

la Spina – di partita.

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DANTE LIBRE

[canto del Beante Cardias Beone]

Tanto veemente e tanto ingente sale

la bile mia quand’epato saluta,

ch’ogne gente in terror lo guardo muto,

e lesto m’evacua lo piazzale.

Ecco mi va, mostrandosi causale,

tutto verso la valvola fottuta;

e par sia stata maldita fonduta,

sfacelo interno, a rendermi spettrale.

Mandoli sì fanpigio a chi la tira,

che da’ ‘l frastìmu una goduria al core,

che ‘intender non la può chi non la prova;

e par che da la mia rabbia si mova

uno spirito beota pien d’orrore,

che va ridendo ed ansima: Delira.

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«L’alcol è un anestetico che permette di sopportare l’operazione della vita»

George Bernard Shaw

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AMENADITO

E un dio Sughero – ci tappi le vene

[Non basta bere per saper scrivere]

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«Le persone non cambiano. Io, ad esempio, continuerò a dire che le persone non cambiano».

«Quindi gli alcolisti che escono con successo dalla terapia non esistono»

«Rimangono alcolisti. Se non bevono più finché vivono è perché non vivono abbastanza»

(Dr. House spiegò l’umanità alla Dottoressa Caddy)

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«Evitiamo l’equivoco, il solito – grazie.

Non bevo per farmi male.

Bevo per non farne a Voi»

(Dana Daino, seduta psichiatrica, Anno Accademico 1996)

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