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Giovanni Castiglia
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Sarà un colpo mancato il mio suicidio.
Penso che avrò la sorte letteraria
di Giuliana Brescia, vivrò nell’angolo.
Il mio nome, infittito di silenzio,
non sarà più un racconto di avventure.
Sarò una macchia, un brusio, un’immagine.
Ma la memoria non è un luogo saldo.
Dunque, non ha senso che io scriva. Eppure,
nel rifiuto, c’è ancora nutrimento.
Mi sostenta un gratuito fallimento.
Mi sostenta un eterno inizio, il pugno
dell’abbandono, il pugno del ragazzo
che tira il sasso. Non posso saperlo.
Nessuno dei miei libri è degno, forse.
O forse, semplicemente, ho fallito
come, nel mondo terrestre, fallisce
l’uomo che ha spessore di fantasma, ecco,
l’uomo senza realtà, vinto e omesso.
Questo, ho mancato il mio essere nel mondo.
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La dolcezza dei vecchi.
È un peso unito a curvarli, vicini.
Il sangue esiste, ma è sottile. Pochi
lo percepiscono. Si sa, gli eletti
sono i predestinati alla visione
della Fenice, del fuoco assoluto,
del rosso, materia e spirito, approdo
delle mescolanze. I vecchi non sono
corvi e hanno smesso di essere cigni. Hanno
superato la prima luce e l’ascesa del vapore.
Hanno superato anche il cadavere e la trasparenza.
Per i vecchi non cambia, maschio o femmina,
fanno l’amore con tutti, si spingono
ben oltre, tornano istintivi, ascoltano
l’istante. I loro corpi, levigati,
come pietre, chiari come pianure.
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L’ispirazione è continua nella solitudine continua. Vivo in un guscio. Tra. Il tempo nella membrana dell’uovo è smisurato. L’uovo non si è mai rotto. Ha resistito all’artiglio aguzzo della più nera delle depressioni. Non appartengo a nessuno. Né a una terra né a una persona. Scrivere è cercare senza oggetto. L’oggetto è illusorio e mutevole come il volto di certe persone. Se non fossi un disintegrato come lavoratore e come puro spirito non potrei ascoltare i fantasmi che mi aggiungono, per grazia, inchiostro all’astuccio, ininterrottamente. A volte ho solo il tormento di chiedermi in che tempo sto.
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Per preghiera
Lo stato della pietra che mantiene il paese non è dei migliori. Questa pietra era buona per gli inizi. E siamo rimasti sull’orlo degli inizi,. Qui sembra che la gente sia appesa a metà caduta. Tu pensi che Carlo Levi non abbia visto Chagall? Ricordo i preti che volavano tra le rocce sui caproni per scongiurare il cattivo tempo. Ricorda la bestia che rasentava i comignoli di Parigi negli occhi dei sognatori, all’epoca dell’ipnosi. I leoni, tra le porte delle chiese, si azzuffano. Si dice siano anime inquiete scatenate dalla follia di essere rimaste troppo a lungo nella pietra. Ricorda il libro di favole su cui si muore,
11/1/2022
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Marc Chagall

Alfonso Guida