22 poeti francesi contemporanei
a cura di Lucetta Frisa
Associazione culturale Contatti, a cura di Barbara Garassino e Massimo Morasso, Genova 2022.

Premessa
La sonorità insita nella lingua francese è avvolgente e melodiosa. Ma nella contemporaneità si è voluto incrinarla, torcerla, strapparle un po’ di quell’alone fatato e morbido che la dominava. Tutto, nella poesia contemporanea, si spoglia di facili romanticismi, di vaporosi arabeschi. La realtà, col passaggio del tempo, è sempre più cruda e buca gli occhi. La lingua si adegua, o per lo meno cerca anche lei di svestirsi, di togliersi di dosso la cipria della raffinatezza senza mai tradire la fondamentale, tragica sensibilità della poesia. (Non a caso questa breve antologia prende l’avvio dai versi di Arthur Rimbaud le cui Illuminations, in prosa poetica, determineranno il futuro di tutta la poesia occidentale). I poeti qui presentati non privilegiano infatti la sensualità musicale della lingua d’oltralpe. A cominciare dal nervoso e molteplice Henri Michaux, scrittore e pittore, per proseguire con il misconosciuto Alain Borne, la sua disperazione a ciglio asciutto. Dal ricco e aspro Lorand Gaspar all’arioso e mitico Jean-Jouve, da Jude Stefàn, dal funebre splendore, all’anarchico Franck Venaille, da Bernard Noël (recentemente scomparso) alla libanese Vénus Khoury-Ghata, dall’empatico Claude Esteban, la cui parola bisbigliante e sobria sa comunicarci un ineffabile strazio, al perentorio Jacques Dupin, che scrive una metapoesia enigmatica e astratta, debitrice degli amati pittori contemporanei, in primis Giacometti e Mirò, a Yves Bonnefoy, poeta tra i più celebri, di elegante e turbata intensità. E via via tutti gli altri, in un quaderno di traduzioni che vorrebbe essere agile, libero, rapsodico, alla ricerca di una “verità estatica” legata allo strumento poesia, come teorizza il regista Werner Herzog.
Una “stravaganza” voluta è stata quella di inserire un Rainer Maria Rilke che scrive, solo in questo caso in francese, Les Fenêtres e Vergers, poesie composte nell’ultimo anno di vita trascorso in Svizzera presso il castello di Muzot, dove completò anche lo straordinario ciclo delle Elegie duinesi. Ma Rilke, pur utilizzando gli “incantamenti” e gli stilemi della lingua francese, li stempera in una complessità che gli deriva, forse, dalle influenze mitteleuropee e dalla seduzione speculativa della lingua tedesca.
Un volume antologico si compone di diverse voci, timbri, tonalità, caratteri. Il risultato è il libro stesso, nella sua complessità musiva, che non può non essere polifonico. Di ogni poeta qui appare un breve segnale, un colpo d’occhio. Chi vuole potrà conoscerlo meglio a parte, approfondirne l’opera leggendolo integralmente. Ho sempre pensato che di un poeta non è facile amare e apprezzare l’opera intera. I suoi frammenti più significativi certamente hanno il privilegio di non annoiare e, contrario, di stimolare e incuriosire. La noia è nemica della lettura e, quando è possibile, tento sempre (da lettrice come da autrice) di evitarla: è la sola “linea teorica” cui resto, comunque, fedelei.
(L.F.)
**
INDICE
Premessa
I poeti
Arthur Rimbaud (1854 -1891), Ponti
Rainer Maria Rilke (1875-1926), Finestre
René Char (1907-1988), Su una notte senza ornamenti
Paul Eluard (1895-1952), L’età della vita
IPierre-Jean Jouve (1887-1976), Paradiso
Henri Michaux (1899-1984), Pianure dove si plana
Edmond Jabès (1912-1991), L’acqua
Alain Borne (1915-1962), Inchiostri
Jacques Dupin (1927-2012), Morene
Philippe Jaccottet (1925-2021), Alla luce dell’inverno
Yves Bonnefoy (1923-2016), Le nuvole
Bernard Noël (1930-2021), L’insigne immediato
Jude Stefan (1930-2020), Fantasmi
Lorand Gaspar (1925-2019), Epifania
Claude Esteban (1935-2006), Qualcuno nella stanza comincia a parlare
Franck Venaille (1936-2018), Ciò è
James Sacré (1939), Il desiderio sfugge alla mia poesia
Venus Khourà-Ghata (1937), Le parole erano lupi
Sylvie Fabre (1951), Come l’allodola
Viviane Ciampi (1946), Tu sai quante volte sei mortale
Sylvie Durbec (1952), Stanze
Albane Gellé (1971), L’aria libera
**

**
Arthur Rimbaud
Ponti
Città
Io sono un cittadino effimero e neppure troppo scontento di una metropoli giudicata moderna perché vi è stato eluso ogni gusto prevedibile, sia nell’arredamento sia nelle facciate delle case sia nella pianta urbana. Qui non si possono rilevare i segni di nessun monumento alla superstizione. La morale e la lingua si riducono alla loro espressione più semplice, finalmente! Questi milioni di individui, che non hanno bisogno di conoscersi, conducono allo stesso modo educazione, lavoro e vecchiaia, così che il percorso vitale sarà mille volte meno lungo di quello segnalato da una folle statistica per le popolazioni continentali. Così come dalla mia finestra vedo nuovi fantasmi vagare nel fumo denso ed eterno del carbone – nostra ombra boschiva, nostra notte estiva – Erinni nuove, davanti alla mia casa che mi è patria e l’intero mio cuore – dato che qui tutto assomiglia a questo -, la Morte illacrimata, nostra figlia attiva e ancella, un Amore disperato e un grazioso Delitto che geme nel fango della strada.
Ponti
Cieli grigi di cristallo. Un disegno bizzarro di ponti, ora dritti,ora convessi, altri che scendono a formare con loro angoli obliqui, e queste figure si ripetono negli altri circuiti rischiarati del canale, e tutti così lunghi e leggeri che le rive, cariche di cupole, si abbassano e rimpiccioliscono. Qualcuno di questi ponti è ancora fitto di casupole. Altri sostengono pennoni, segnali, fragili parapetti. Accordi minori si incrociano e fuggono, dagli argini si alzano fumi. Si distingue una giacca rossa, forse altri vestiti, e strumenti musicalli. Sono arie popolari, schegge di concerti aristocratici, frammenti di inni pubblici? L’acqua è grigia e azzurra, larga come un braccio di mare. – Cadendo dal’alto del cielo, un raggio bianco annienta tutta questa commedia.
**

Alain Borne
**
Inchiostri
So che tutto è nulla ma amo il nulla e lo canto.
A forza di parlare d’amore
sentirete in bocca questa parola
più di neve
che di sangue
*
Nessuna emozione
forse scrivo come il ciliegio
sul cielo nero delle parole di neve
*
Sulla spiaggia del diluvio
non rimane del mare
che un po’ di sale pallido
*
Il sangue si rinnova come il giorno
quando il sole se ne va dal vento
e un mantello di freddo
soffia alle spalle
*
Età profonda e senza ritorno
che fa già paura al sangue
coraggioso è non morire
perché il morire è vicino
*
Coloro che la vita attraversa
come un pugnale
coloro che la morte fa risplendere
*
Ahimé mai più ricomincia
del nostro sangue la lunga annata
e felici siano i rami
che rifioriscono ad ogni maggio
Ahimé nessuna gioia
si rialza dall’ombra caduta
*
Se avessi saputo cos’è l’amore
avrei lungamente taciuto
*
Dalle mie mani sporche d’inchiostro
semino neve sulla pagina nera
perché un intero cielo
s’apra agli astronomi dei miei libri
tesi verso la mia notte
*
Hai nel pugno
né l’uccello né il fiore
ma l’osso beffardo del tuo fratello antico
*
Riti
sporchi massacri
con la lira in mano canta
lui canta
ride
il sangue gli cola dalla voce
il sangue gli cola dalla mano
e canta
**
Canto
e la vita come un albero
si erge sulle sue foglie
immensa nell’autunno
dove si ammucchiano i morti.
*
Lassù la pallottola ha colpito l’uccello
e qui il suo calore incide
una peonia sull’ermellino
**

**
Alla luce dell’inverno
*
Alla luce dell’inverno
Avrei voluto parlare senza immagini, semplicemente
spingere la porta…
Ho troppa paura
per questo, troppa incertezza, talvolta pietà:
non si vive tanto a lungo come gli uccelli
nell’evidenza del cielo,
e dopo, ricaduti sulla terra,
non si vedono con precisione che immagini
o sogni.
*
Parlare, quindi,è difficile, se si tratta di cercare…cercare cosa?
Una fedeltà ai singoli momenti, alle singole cose
che scendono in noi verso il basso, che si spogliano,
se si tratta di affastellare un vago riparo per una inafferrabile preda…
Se è indossare una maschera più vera del proprio viso
per celebrare una festa da tempo perduta
con gli altri, che sono morti, lontani o che ancora
dormono,e stentano ad alzare dal loro giaciglio
questo rumore,questi primi passi traballanti, questi fuochi timidi
-le nostre parole:
vibrazione del tamburo per quel poco sfiorato da dita ignote…
*
Strappa infine queste ombre come veli,
tu,vestito di stracci, falso mendicante, amante di sudari:
scimmiottare la morte a distanza è vergognoso,
aver paura quando accadrà, già può bastare. Adesso,
copriti con una pelliccia di sole ed esci,
cacciatore controvento, attraversa
come un’acqua fresca e rapida la tua vita.
Se tu avessi meno paura.
non faresti più ombra sui tuoi passi.
**

Bernard Noël
**
L’insigne immediato
**
L’insigne immediato
La solitudine delle cose
è una nostra invenzione:
ha bisogno di uno specchio.
Ombra e luce talvolta si intrecciano
così perfettamente l’una all’altra
che se ne vede il respiro
perfino una vita interiore:
è bastato fermarsi
davanti fuori.
Fate sentire lo spazio
e la pianta più piccola
solleverà le braccia
mentre l’albero
divorerà il cielo o vi si bagnerà
La vista è sempre una frase
sospesa in assenza di rappresentazione
che con passione vorrebbe raggiungere
ma che, di continuo,
la oltrepassa.
Il mondo è sempre intero
inizia e finisce al momento
ci assorbe
ed eccoci ricolmi
poi chiudiamo gli occhi.
Il silenzio è sulla pelle del mondo
come su di lei è la luce
lo si ascolta mentre guardiamo.
Crediamo di abbellire il mondo
non facciamo che coprirlo
con la nostra firma
per dargli la nostra natura
e togliergli la sua.
Ciò che guardiamo
assomiglia a ciò che è
ma ciò che è non somiglia ai nostri sentimenti
e ancora meno alle nostre storie
eppure dobbiamo guardare.
**

Claude Esteban
**
Qualcuno nella stanza comincia a parlare
Schizzi, ripensamenti, soli
Sette giorni da ieri,
contati come se
il numero finalmente chiuso
fermasse il tempo, lo obbligasse
a non scavare più la sua ferita,
sette giorni
attraverso gli anni, e questa voce
che d’un tratto decide
che basta così e bisogna contare
in un altro modo, se si potesse.
*
Questa voce che giunge
da nessun luogo, ditemi come fare
per non ascoltarla, tutte
le cose si sono zittite,
prima le grandi, quelle
che ci ferivano, poi le piccole,
ed è nel silenzio della notte
dell’anima, la voce improvvisa
come uno spavento e poi come un’allegria
e poi la morte, semplicemente.
*
Datemi questo mattino, ancora
queste ore dell’alba
quando tutto ha inizio, datemi, vi prego,
questo muoversi lieve dei rami,
un respiro, niente di più,
e che io sia come
chi si sveglia nel mondo e non sa
ciò che è già morto né ciò che
morirà, datemi
appena un po’di cielo, o questo sasso.
*
Figlia mia, ci toglieranno
le catene, cammineremo, tu
ed io, sui prati, raccoglieremo qualsiasi
fiore, ne faremo, se vuoi,
dei mazzi, la città
sarà molto lontana e talvolta
degli uccelli ci narreranno la fiaba
di un re vecchissimo
che non sapeva più separare il giusto dall’ingiusto
e rideremo di noi, Cordelia.
*
Luce che va sempre
innanzi, io ti prenderò
per mano, sarà subito
più semplice, le cose
e la gente, le parole che induriscono
sotto la lingua, tutto
sarà trasparente per noi, luce
che non ha luogo, ecco che ti fermi
e anche il mio male
si ferma e tu mi aspetti.
*
Dietro lo steccato rosso
ci piacerebbe vivere e invecchiare
per tanto tempo, forse ci sarà
un uomo senza paura, senza quasi più
desideri e solo gli alberi
parleranno di noi, diranno la linfa
e la sovrabbondanza, l’immobile
moto delle ore e poi la morte
come una scorza molle, saremo là ad occhi
aperti, una vita davvero, dietro uno steccato rosso.
*
Una foglia che si strappa, tre
note sopra il silenzio, quasi
niente, com’è presto,
è forse il mattino oppure
la sera, non lo so
più, ho camminato così tanto,
adesso
respiro, mi risposo, tutto
è perfetto, il cielo permane
a piombo, e conto sette stelle.
**
Il giorno appena scritto
Quello che non parla.
Io l’ascolto.
Quello che non ha luogo
lo ritrovo
nel suo luogo
Quello che cade
Io mi rimetto al suo posto
Vedo vivere
tutto quello che muore
Sparisco
con quello che è restato.
*
Non abbiamo avuto tempo. Non
del tutto, si era
creduto che un minuto potesse
bastare, una mano
su un braccio, non si pensò
che fosse finito
da qualche parte,forse scritto
In un libro che non si sarebbe mai letto
soprattutto se parlava
di un una donna, di un uomo, di un giardino
*
Una volta, ancora
una volta, mi avvicino
alle mura, ti
chiamo. Non so più
il tuo nome, grido
solo un nome, quello che viene,
sole, e il sole
è senza calore, casa.
e la casa si richiude, io tornerò,
troverò la parola che ti calma
*
Prenderò una
pietra
Quella che capita. Quella
che pesa
nel suo nome di pietra.
Cancellerò tutto il fuori,
darò
Il mio sangue a questa pietra.
Per nulla. Per
ricordare il suo nome. Per imparare
giorno per giorno
il suo corpo di pietra.

Barbara Garassino

Massimo Morasso