UNA POETICA DELLA COSTRUZIONE. Per Fausto Ferraiuolo

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Note di copertina a Changing Walking, 2007, Abeat edizioni (Fausto Ferraiuolo Trio, Piero Leveratto contrabbasso, Fausto Ferraiuolo pianoforte, Alfred Kramer batteria), a cura di Marco Ercolani.

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«C’è qualche fondamento per questa materialità terribilmente arbitraria della parola non possa essere dissolta, come ad esempio la superficie del suono, inghiottita da enormi pause nere, come nella Settima Sinfonia di Beethoven, che fa sì che per interi movimenti non possiamo percepire nient’altro che un vertiginoso abisso di silenzi tesi ad annodare, sul senza fondo, un sentiero di corde sonore?» Queste sorprendenti parole di Samuel Beckett sulla musica ci fanno trapelare, all’interno del vuoto delle parole, un “sentiero di corde sonore”. Il grande drammaturgo di Aspettando Godot ci parla di questo sentiero, di questo viaggio, dissolta l’arbitrarietà delle parole, che è la musica all’interno dello stesso silenzio. Scrive Bill Evans: «Attraverso l’arte possono venire alla luce parti di te la cui esistenza ti era completamente sconosciuta. Questo è il vero scopo dell’artista: trovare ciò che di universale è in lui e saperlo tradurre in termini comprensibili agli altri».

In un celebre brano dello stesso Evans, Peace Piece, le impennate del pianoforte, prima cantabili poi aspre, si stagliano da un basso continuo di berceuse. L’inferno necessario, come sempre, è nascosto da un improbabile paradiso. Resta la sensazione, nettissima che la mano destra porti l’improvvisazione sul tema a tali arditezze timbriche che supporrebbero la completa adesione al free jazz. Ma il basso della sinistra, l’ostinato basso da berceuse chopiniana, il ground – la regola del testo – continua ad esserci: non segue la mano destra, non si dissolve, è l’insistente richiamo al canone di partenza affinché, dopo le libere improvvisazioni, ci sia un “ritorno a casa”, come Ulisse a Itaca.

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Lennie Tristano, Bill Evans, John Taylor

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Fausto Ferraiuolo, in questo suo CD del 2007 Changing walking, costruisce le frasi musicali come ‘forme sospese’ in una tensione ritmica, armonica, timbrica: non sfoggia un campionario di ballad o di standars, ma espone le tappe di un viaggio interiore, narra la sua originale esperienza nella musica. In piena coerenza espressiva con il contrabbasso di Piero Leveratto, e la batteria di Alfred Kramer, Fausto Ferraiuolo, all’interno della forma classica del trio jazz, realizza la composizione, istintiva e mentale, del suo testo musicale. L’influenza di Bill Evans e di Lennie Tristano, il lungo apprendistato con il pianista Enrico Pierannunzi, conducono inevitabilmente il pianista napoletano verso un discorso interiore e ‘romantico’: Ferraiuolo privilegia la zona medio-bassa della tastiera, l’armonizzazione tonale-modale, costruendo cellule ritmiche che, in crescendo o in diminuendo, sviluppano temi nascosti, spesso misteriosi, con continui ma impercettibili slittamenti temporali. Scrive il clarinettista Jimmy Giuffre: «C’è una zona della musica in cui non esistono più categorie. Quest’area non è soltanto jazz né musica europea classica o qualsiasi altra cosa. È semplicemente musica».

In questa ‘zona’ i costanti passaggi da zone melodiche pacate a slanci ascendenti improvvisi delle frasi, la modulazione morbida delle dissonanze, l’improvvisazione mai fine a se stessa, la coerenza espressiva, la sapienza di allontanarsi dal tema e ritornarci, come accade nel viaggio della metafora, rendono il trio libero nella scelta di una sonorità intima e condivisa, dove il singolo assolo non ha mai funzione virtuosistica ma strutturale, portando l’ascoltatore a familiarizzare con i singoli temi (tutti di Ferraiuolo salvo tre eccezioni, Van Hausen, Shorter, Leveratto), da Step by step a Things of you, da Wanderung a 1000 miles voyage, da Changing walking a I’m afoot my mision, da If I could see you a Impro (improvvisazione comune di Ferraiuolo/Leveratto/Kramer), da Footpritns a Myriads, fino a Exodus.

Non soltanto perché è l’ultimo brano del CD che Exodus resta inciso nella memoria (è anche colonna sonora del film Guerra realizzato da Pippo Delbono a partire dallo spettacolo omonimo), ma per una sua suggestione da habanera e una particolare sapienza nel sospendere tonalità e timbro in un procedere fisico dei musicisti quasi all’unisono, che non conduce in un luogo definito ma lascia aperte prospettive di viaggi futuri. Ferraiuolo, lontano dai virtuosismi intellettuali e dalle ibridazioni sonore di un certo pianismo contemporaneo, segue con misura, senza enfasi e senza minimalismi, la vita stessa del tema (emozionanti le sue trascrizioni jazz di celebri canzoni napoletane come O’ sole mio e Anema e’ core). L’energia pulsante del suo pianoforte, che non ignora le cupe tonalità di Mike Melillo e la libertà espressiva di John Taylor, è al servizio di una rigorosa e ardente misura musicale che, nella tonalità ‘scura’ della tastiera, prediletta dai suoi maestri, trova la forma ideale. Con Changing walking Ferraiuolo compone un personale ‘diario intimo’ che, a partire dall’esperienza jazz, la trascende in sonorità ipnotiche, come in Exodus – sonorità timbricamente intriganti, mai risolutive, che annunciano futuri e originali lavori del compositore napoletano (Marco .Ercolani, 2007).

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