A Pao, amico indimenticabile.
Irvine Welsh, in qualche modo, ti conosce.
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Prologo
Una storia, immaginariamente connessa alla tua storia. Ogni riferimento resta casuale, così come casuale è la vicenda, per chi resta.
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Dieci
La prima volta che vidi quell’auto passavo casualmente accanto a quel luogo. Era il luogo dove avevo trascorso alcuni anni della mia vita, anni significativi, perché avevano segnato il passaggio dall’adolescenza squattrinata a qualcos’altro.
Vidi l’auto e pensai. Anche io, un tempo, ho avuto un’auto come quella, proprio dello stesso colore. È strano che ne circolino ancora. Pensavo non ne producessero più. Non feci caso, quella prima volta, alla targa, né a chi fosse il conducente.
La seconda volta ci andai di proposito, perché non ero convinto di ciò che avevo visto. Osservai i numeri e le lettere. La targa di quella Peugeot 205 rossa era proprio la mia.
E allora lo aspettai. E allora lo vidi. Un angelo, davvero, lo era sempre stato. Con i riccioli biondi e fluenti, secondo la moda di quegli anni, come le rock stars. Lo vidi mentre specchiava il suo volto adolescente nel retrovisore, alla ricerca di un’imperfezione che non c’era, ma che lui voleva trovare. L’imperfezione avrebbe forse potuto giustificare perché non si sentiva amato. Anzi, avrebbe giustificato quella disapprovazione e quel rifiuto che non sapeva compensare, perché mai sarebbe riuscito a diventare ciò che gli si chiedeva di essere. Ecco: un angelo sublime e imperfetto. Sapevo che dovevo seguirlo.
Nove
Eccoli lì, tutti in fila, chiassosamente marcianti in piena notte tra la stazione ferroviaria e la spiaggia. Tutti con il loro “saccappelo” per dormire sulla battigia, che le forze dell’ordine non sono ancora state addestrate a reprimere tali manifestazioni di libertà e ancora si può fare. Ehi! Magari all’alba irromperanno sulla spiaggia e ti chiederanno un documento di identità, ma che te ne può fregare?Andrai alla stazione del carabinieri ironizzando sul rigore delle divise e delle facce e riavrai la carta e una diffida perché, in fondo, sei ancora appena maggiorenne. Ci andrai con tutti gli altri, e siete tanti. Il concerto è stato importante e bello, una vera festa, un bagno di folla colorata; e adesso mi sembra che ti riesca difficile smettere di festeggiare. E arriva qualcuno, e caccia fuori quelle minuscole pillole, colorate anch’esse: si chiamano “orange” e vanno via a soli trenta sacchi. Ragazzi, state comprando LSD e non sono ancora arrivati i tempi delle droghe farlocche che spacciano per allucinogena un po’ di amfetamina. Questo è LSD vero: quello che ti tiene inchiodato al terreno mentre la tua mente si stacca e tu vedi tutto dall’alto. Quello che, se ti prende male, diventa pericoloso e autolesivo, che conviene sempre fare in compagnia, in un luogo isolato e distante da stimoli sensoriali violenti.
Perché lo fai? In molti vanno ripetendo che l’acido brucia il cervello e soltanto tra diversi anni si farà strada una teoria più convincente secondo la quale l’acido slatentizza i mali già presenti nella testa. Ma sembra che non te ne importi, anche perché vai ripetendo a te stesso che con questo spalancherai nuovi orizzonti alla tua consapevolezza… lo dice anche Morrison. Dunque è per questo? Vuoi capire? Cosa vuoi capire? cosa ti sta sfuggendo e ti appare oscuro? Ma l’”orange” sta già salendo e la tua mente esplode in un fuoco di sensazioni e i tuoi occhi vedono quello che per “loro” non c’è. Stai attento, ti prego! E non lo dico per moralismo.
Otto
Ti è piaciuto tanto, vero? Ti è piaciuto talmente che stamattina ci hai riprovato ed è passata soltanto una settimana. A scuola, nel tuo ultimo banco, al riparo da sguardi indiscreti, non hai fatto altro, per tutti questi giorni che ripensarci ed escogitare un modo per averne ancora. Eppure l’LSD non da assuefazione… Ma il tuo desiderio di essere altrove non ha nulla a che fare con l’assuefazione. E, finalmente, è domenica. Questa volta non ti sei limitato ad inghiottirne uno, ma ne hai ingurgitato subito un altro e poi ancora, fino a perdere un conto che la testa non riusciva già più a tenere. Oggi hai trovato un solo complice, un solo amico. Gli altri ti hanno mollato e sembravano quasi vergognarsi di te. Ma non è forse anche questa la tua soddisfazione? Stupire, scandalizzare, essere tutto quello che la tua buona educazione non vorrebbe. Così adesso sei lì, seduto sulla piazzetta del paese, in terra, che addenti un cespo di insalata senza averlo sfogliato né lavato. Ululante a una luna ormai nascosta dalla luce del giorno. Con la chitarra silenziosa a tracolla. I vecchi passano e commentano in dialetto: non si dovrebbe bere vino già di prima mattina.
Non credi di avere esagerato? Se per un attimo te lo chiedi ti ascolto risponderti che lo fai perché sei folle e che vuoi essere folle, perché la follia è la tua unica libertà.
Sette
Non hai voglia di tornare a casa. Come si fa a chiamare casa quel villino lussuoso nei quartieri bene della città? Là dentro troverai tua madre, un’immensa ipocrita a tuo dire, non foss’altro perché non si è mai capito cosa per lei sia davvero importante. Indulgente o severa secondo le lune o forse soltanto secondo una valutata convenienza. Poi c’è tuo padre, imponente nella sua divisa tutta piena di mostrine. Proprio lui, quello che ti guardava già nella culla, figlio finalmente maschio, impaziente di consegnarti la sua divisa e le sue medaglie. Ma aveva fatto i conti senza l’oste, che nel frattempo c’erano stati gli anni ‘60, le rivoluzioni e i figli dei fiori. Quelli che, come te, stavano ben distanti dalle divise, che guardavano con orrore la guerra nel Vietnam e che inorridivano pure di fronte a certe manifestazioni di orgoglio. Certo che per lui sei una bella delusione, ma talmente inaccettabile da non riuscire ad ammetterla. Confida nella possibilità di riuscire a raddrizzarti. Lo ha fatto con gente più tosta di te e non esita a ripeteterlo. Quasi sempre hai fatto finta di non sentirlo, rifugiandoti sulla spiaggia a farti le canne e quattro risate. E poi c’è tua sorella, la primogenita e la prima del suo prestigioso corso di laurea. Lei non ti considera un interlocutore; si limita a passarti accanto e a vincere il confronto.
Ma ti ho già visto troppe volte osservarti con cura maniacale, osservare il tuo corpo che palesemente non riconosci come un piccolo capolavoro di bellezza e armonia. Ti ho visto guardarti e mi è sembrato che stessi cercando un difetto, qualcosa che giustificasse, appunto, la tua diversità.
Sei
È il concerto più importante dell’anno, e valeva le due ore di strada. Mentre molta gente si prepara alla finale dei mondiali di calcio. I Rolling hanno accettato di anticipare al pomeriggio la loro performance. D’altra parte Jagger, dal palco, ha pronosticato con esattezza il risultato finale (forse anche lui parla con uno come me) e l’Italia, appunto, vincerà. Nel pomeriggio torrido di luglio sul prato dello stadio c’è un caldo infernale. Gli idranti dissuasori sono stati riciclati per annaffiare il pubblico e limitare i compiti delle ambulanze. Sei lì, insieme a tutti, danzando. Prima o poi arriverà anche “I can’t get no satisfaction” e sarà un’apoteosi. Ma, quasi improvvisamente, compare lei: lunghi capelli lisci, lievemente ramati di hennè, occhi grandi camuffati da occhi orientali su un viso pallido e dissonante alla stagione. La sua schiena è quasi impercettibilmente ricurva. Ti si avvicina con una siringa da insulina tra le mani e, semplicemente, ti chiede se le puoi conficcare l’ago in una vena. Ti giuro, vorrei prenderla per un braccio e scaraventarla lontano da te, ma le forze a mia disposizione non me lo consentono. La guardi stupito e, altrettanto semplicemente, le chiedi perché. Lei ti spiega che non è capace di farlo da sola, ma che deve farlo. Sai bene che potresti avere lei e forse anche metà della roba contenuta dalla siringa, ma c’è la musica e la festa e riesci a negarti. Per la prima volta ho percepito la tua paura, ma una piccola paura, flebile e indefinita.
Cinque
Accovacciato in un vicolo del centro storico, con i ratti mai debellati che scorrazzano intorno. La tua amica cerca di sollevarti, passava di lì per caso, abita poco distante, ti invita per un thè. È chiaro che non ti lascerà. Perché, perché, perché l’eroina? Che bisogno c’era? Tra frasi sconnesse ti confidi. Hai sempre temuto di risultare indesiderabile e con la roba si scopa da dio! Ma come? Tu sei così bello…tu sei…così. Ma poi, sotto sotto, viene fuori. Gli oppiacei sono l’anestesia perfetta. Lo stantuffo scende e tutti i mali scompaiono. Poco importa se durerà un attimo e se domani sarai costretto ad andare di nuovo in sbattimento per la prossima dose. Non farlo, ti prego! Sai meglio di me che è un vicolo cieco. Lo dice lei e io spero di riuscire a farle eco.
Quattro
La spiaggia e gli scogli sono quelli di sempre, quelli lontani da casa. La stagione non è quella perfetta per i bagnanti. Stai vagando in solitudine, con un cencio arancione sulle spalle. I tuoi boccoli biondi sono scomparsi e il tuo cranio rasato ti rende insolito. So che stai sperando che funzioni… in fondo ha funzionato anche per Roberto Baggio. La tua litania è sommessa. Non capisco da dove vieni né dove pensi di andare. Ti hanno visto in molti, ma nessuno ha scelto di farsi i fatti tuoi. Da queste parti di gente strana ne gira parecchia.
Tre
Non farlo, non farlo! Ti ho letto nei pensieri. Sì, è vero, la colpa è loro, il rifiuto è loro, se stai male è perché ci sono loro, loro sono delle vere merde. Ma non farlo, sei troppo incazzato. E poi, se ci pensi un attimo lo capisci, questo finirebbe con dar loro ragione. Fermati, dove vai? Non si torna a casa così.
Ma forse, e forse non lo sai, è proprio per arrenderti, proprio per riconoscere le loro ragioni, proprio per spiegarli e per renderli accettabili. Forse è per fare un dono che stai entrando nel giardino lussuoso a scovare l’attrezzo più tagliente. Forse è per dire che in fondo hanno ragione quando entri in cucina e trovi mamma e sorellina e infierisci sulle loro pance con la lama del falcetto fino a quando il sangue cola e allaga il pavimento. Ma l’emozione ti rende maldestro e qualcuno arriva, attirato dalle grida, per fermarti e per chiamare quell’ambulanza che porterà via anche te. “Incapace di intendere“ è un’etichetta e un sigillo. Te ne vai lontano, questa volta scortato, in un luogo dove ci sono molte altre persone che hanno fatto male perché sentivano troppo male. Tuo padre non riuscirà a far di meglio che finanziare un’associazione per il supporto a familiari di pazienti psichiatrici e diventarne presidente. La vocazione al comando non è acqua!
Due
All’ospedale psichiatrico giudiziario con quelli giovani come te a volte fanno miracoli. È passato qualche anno, i tuoi riccioli biondi sono di nuovo cresciuti e ti toccano ancora le spalle. Neppure i farmaci sono riusciti a deformarti e tu sei figo come sempre, ma come sempre non lo sai. Hai imparato il mestiere di barman, hai parlato con parecchia gente e hanno detto che eri pronto a tornare nella tua città: un paziente modello. L’assistente sociale ti ha proposto un piccolo appartamento da condividere con un “amico” e un lavoretto che non ti procurerà grandi fatiche, che ormai puoi dirti appartenente ad una categoria protetta. Oggi c’è una festa prenatalizia al centro di salute mentale. C’è un po’ di gente: operatori, pazienti, simpatizzanti e parenti. Ti vedo salire sul palcoscenico improvvisato. La chitarra è sempre la stessa e, se non fosse per la lieve disartrìa procurata dagli psicofarmaci, la tua voce sarebbe ancora cristallina come un tempo. Certo che la tua scelta è ardimentosa. Ma, dimmi la verità, li stai mica prendendo per il culo? Se mi guardo intorno diventa difficile crederlo che qui è tutta, più o meno, brava gente. E finalmente parte il ritornello, e la tua voce rimbomba drammaticamente sotto le volte affrescate: “The answer, my friend, is blowing in the wind. The answer is blowing in the wind”.
Uno
Il tuo socio, come lo chiami tu, è uscito da un’ora per andare a lavorare. Tu no. Hai telefonato per dire che non stavi troppo bene e sei rimasto a casa. Certo, così facendo, hai rischiato una visita domiciliare da parte di un qualche operatore e, se ti conosco, magari lo hai pure calcolato. Magari la telefonata era l’unico proiettile mancante della tua disperata roulette russa. Troppo scarse, comunque, le probabilità. Ma hai pensato al tuo coinquilino e a quando ti ritroverà? Te ne sei fregato o credi che il suo orrore non potrà essere troppo diverso dagli orrori che ha vissuto tante volte? Così adesso sei lì, con i piedi staccati dal pavimento, e penzoli come le palline sull’albero di Natale e come sulle palline un raggio di luce si riflette sui tuoi capelli. Adesso mi puoi guardare. Tra qualche secondo smetterai di respirare e tra qualche altro il tuo cuore si fermerà. “Mi riconosci?” “Chi sei?” “Non lo vedi?” “Ma… mi somigli molto!” “Sì. Proprio due gocce d’acqua.” “Sei il mio custode?” “Beh, qualcuno mi chiama così.” “Però non mi hai mai fermato!” “Non potevo, e lo sai bene. Ci sono storie dalle quali discendono inevitabilmente altre storie e nessun angelo le può cambiare. Adesso ce ne andremo insieme e forse suoneremo ancora, fregandocene di tutto e di tutti, proprio come le rock star”.
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Mike Jagger, Marc Chagall