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Incipit
Prendete una vita. Un’esistenza. Partite di lì. Che sia capitata per davvero o meno fa poca differenza. Partite da lì, dai colori che ha sfiorato, dagli odori, dai profumi e dalla puzza che ha respirato. Da tutto ciò che ha buttato giù. Partite da lì, e da tutte le sfumature che le sono passate accanto, mentre spingeva per venire fuori. Mica per arrivare a un punto. Quello sarebbe troppo. Prendete una vita, un quarto d’esistenza, e chiedetevi se basterà…
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Due
…Senza che nessuno se ne accorga, in fondo, nasciamo noi. Nasciamo e moriamo. Ogni notte. Dando per scontato che non siamo i primi e non saremo gli ultimi. Ecco che la nostra banalità, finemente, si tramuta in specialità apparente. È un’operazione geniale trasmessaci dentro dalla noia e dai rumori, dai film di nicchia che guardiamo, nell’ansia spasmodica di ricavarne gesti, suoni, filosofie di vita. Siamo la generazione di mezzo della storia. Assetata di maschere e di profili fuori dal coro. E niente ci spaventa più della normalità.
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23 marzo 2023
…Per vivere davvero bisogna perdersi. Bisogna farlo per ritrovarsi Mentre ti perdi, però la vita si diverte a fare la stronza, impiastricciandoti la faccia con la bellezza, il dolore, la responsabilità e il profumo dei giochi d’azzardo dell’intestino. Nel mezzo te ne scegli una, di vita, in mezzo a mille vite possibili. Vita vera: progetti, strutture, passioni, passatempi, canti del cuore, libri del cuore, posti in cui ti senti a casa, amicizie, conoscenze, tragitti sicuri e impervi, lavoro, sudore, colpi di testa, periodi di quiete, intervalli E proprio lì’, nel mezzo, le vite che non hai scelto ti bussano al petto, ogni tanto, per l’esigenza di venire fuori…
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Scrive Massimo Morasso: «Matteo Rovere è un narratore lampeggiante. Dal romanzesco-melassa che tedia fin nei presupposti, dando espressione a personaggi più o meno dignitosamente “a tutto tondo”, o a forme solite dove tutto quadra così tanto da generare reazioni-sbadiglio e/o progetti di fuga fuori pagina, Rovere sa tenersi alla larga con buon istinto poetico. Alla consecutio dei tempi e dei fatti che fanno una storia (nello specifico: quella di un tal Karl Muller, che alla fin fine, dopo mille traversie, esce di scena, vecchio, nel 2023, dicendo a un bambino che a salvarlo è stato… un tatuaggio) preferisce il ritmo sincopato di una soggettiva d’autore. Costruisce, con sapienza d’intreccio, un’indagine esistenziale che si fa notare in forza di un calibrato estrosismo linguistico in urto con lo status quo del parlottio “da un tanto al chilo” degli scrittori best seller. Con questo suo primo romanzo breve o racconto lungo che sia, Matteo ha scritto un librino scomodo, imperfetto e apparentemente disordinato, ma pieno di sensibilità, intuizioni e artifici efficaci».
Cosa aggiungere a queste riflessioni? Che Matteo è uno scrittore a lampi, a “graffi”, consapevole, come il protagonista del suo libro. Karl Muller, di un continuo peregrinare fra riflessioni, scene, dialoghi, invettive, che evocano un romanzo di formazione; ma è un romanzo volutamente spezzato, che non forma e non informa, e si presenta come un puzzle composito, che il lettore potrà divertirsi a riordinare, in modo sempre aleatorio. Ma la frase di Matteo, in qualunque punto del libro, è limpida, rigorosa, mai espressionista, e si offre come puntuale anamnesi del suo pensiero e della sua fantasia. “Perché la gente, nella vita, si perde per ritrovarsi. Punto”. Potremmo dire che, in ogni punto del suo essere libro, il libro “parla” al lettore con voci diverse. Ecco un esempio: «In effetti fu strano il gioco a cui giocò Karl Muller, dentro un mattino annebbiato dai rimorsi. Un mattino che non gli suggerì nulla, proprio nulla, s non l’elementare annegare di sette lettere pronunciate con gli occhi distanti. Quegli occhi che sembravano appartenere alla scenografia, anziché al soggetto. Pupille che tremano da ovest a est in cerca di niente, nell’ansia di svuotarsi e vomitare zavorre di pulsioni e cattiverie. C’era il mondo dentro gli occhi dell’uomo, c’era il mondo nella sua durezza, e voracità, e quasi distrazione». (M.E.) Come afferma lo scrittore a inizio libro: «14 graffi non nasce dall’esigenza di scrivere un libro ma dalla necessità di dire qualcosa… Che fine farà il protagonista? Lo scoprirete, per carità, ma in fondo chissenefrega. Quel che ho cercato di fare è portare chi legge a chiedersi, piuttosto: Cosa ha voluto dirmi?». Di questo “che cosa” Matteo Rovere è responsabile e orgoglioso, e chiude il libro con una domanda misteriosa ma pertinente, nella trama del testo: «E se ti dicessi che a salvarmi, alla fine, è stato un tatuaggio?» La scrittura tatua sempre il suo stile nelle parole.
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Matteo Rovere nasce a Genova il 3 febbraio 1986. Giornalista e pubblicista, nel 2012 pubblica Tiksi e altre strade, racconto breve unito a una raccolta poetica. Dal 2014 collabora per il Festival internazionale di Poesia di Genova. Il romanzo 14 graffi è pubblicato in Bookabook, 2022.

Paul Delvaux