LA DIREZIONE DEL SOLE. Enrico Marià

Enrico Marià, La direzione del sole (collana I Venti, La Nave di Teseo, Milano 2022)

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Certi libri non nascono come libri. La direzione del sole (La nave di Teseo, 2022) è uno di questi. Le poesie sono “colpi di sonda” nel senso artaudiano del termine. I versi di Marià campeggiano nudi nel foglio, meteore da cui non sai cosa aspettarti: irruzioni del corpo oltraggiato, soprassalti dell’anima offesa, e simultaneamente rigorosi teoremi, geometrie di parole. Marià fa sparire la sintassi: la nasconde, la polverizza, nella scena evocata dalle parole (“Monade del gorgo / è l’atrio dei cani / l’ultima solitudine / della pioggia rettilinea”; “Da Auschwitz a Lourdes / i vermi delle dita / Genova luce / l’autismo di Dio”; “Le scale a ventaglio / del centro psichiatrico / che a perderci urlano / i seni dei cigni”). Ma di quale scena parliamo? Di una fotografia senza filtri che scortica l’oggetto per eccesso di luce e per eccesso d’ombra. L’analogia con la fotografia ci permette di inquadrare meglio queste poesie-rasoio che tagliano l’occhio del lettore con l’antico gesto surrealista di Le chien andalou. Ma qui le visioni non sono la fiamma sovversiva di Buñuel ma un tessuto mentale scavato dentro un realismo tragico. Qui l’abuso feroce, la violenza sessuale, il carcere, il disagio, la psicosi, la droga, sono l’ombra di una parola che brucia la sua notturna, putrida materia in un fuoco ultimo, sull’orlo dell’abisso, assetato di redenzione. La parola secca di Marià, il lessico senza veli, la furia contratta del narrare, inventano una poesia che, pur apparendo minimale, è al contrario l’acme del grido, “ciò che resta del fuoco”, la cenere che accusa, senza perdono ma con immensa pietà, e continua a bisbigliare di fantasmi amati anche nel loro orrore, come pezzi di sé. “La direzione del sole” nasce da questa tenebra assoluta che Enrico ha trasformato in notti plurali, illuminate. Come scrivono I fratelli D’Innocenzo nella fulminante prefazione: “…la sua poesia è un inferno strabico che a differenza di molti suoi colleghi evita il piagnisteo turistico, la parola che media. Uno così non viene perdonato”.

Andrés Serrano

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Antologia

Dopo il mondo sarà d’amore

la colpa di essere vivi

e non la luce che non scrive

ma l’alba, le sillabe del fuoco

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Il dio dei bambini

e il corpo bersaglio

che sarebbe bello

non morire

la custodia cautelare

ma il privilegio dei cani

di espiare la neve.

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Nei mari estremi

la metamorfosi dei fiori

che di Dio buchi e orifizi

la sua vocazione ai giorni

dell’ultimo aprile.

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Movimento impercettibile

è la prima lacrima

I fili fosforescenti

dell’irreparabile sospeso.

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La carne degli affetti

una sfera che si schiude

quando scarcerato dal corpo

il cielo ulteriore.

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Sarà dogana di rose

il mio minore morire

farmi schegge d’impatto

le note sulle righe

i binari, quelle negli spazi.

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L’incesto che sterilizza

all’infanzia le pareti

papà, io che ti avrei amato

se mi fossi stato figlio.

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Contro il muro mio padre

analfabeta alle carezze

mi reinventa all’amore

lo sperma macerato.

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L’ho detto a Luca delle convulsioni

il mio commuovere il silenzio

lo sporgersi aria

come se tutto fosse un sempre.

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Coni di luce contrapposti

noi i disabbracciati

a cicatrice dei nomi

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Il dovere di essere

apparire cani crocifissi

la pietanza

per far crescere i bambini.

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Che cos’è il mio vuoto

un vangelo di orchidee

le rose sdentate

la sacra luce

del cielo spaventato.

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Tu dentro il cielo

un’ansia di neve

che impara l’estate.

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Che non ragiona

ma solamente vuole

l’amore abbandono

l’algebra del corpo accanito.

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Dammi il valere

ancora qualcosa

l’essere assolto

abitando cani carezze

le palpebre del costato

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Dietro le balaustre

i tanti ricoveri, e quella volta

sottobraccio a mia madre

come di un biglietto le prime righe.

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All’origine della vita

il debito senza colpa

la solitudine

irreversibile moltitudine.

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Dopo il mondo sarà d’amore

la discolpa di essere vivi

il commosso perdersi

della disperata erezione.

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