LEPANTO

Lettera inedita di Miguel Cervantes, Messina, 1 ottobre 1605.

André Masson

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Caro signore,

devo proprio inventare un personaggio che renda reali i libri che ha letto e che opponga la fantasia della parola a questo mondo che produce guerre e massacri, e questo mio braccio ferito. Voglio dimostrare che la realtà può essere polverizzata dai sogni della letteratura. Si chiamerà, il mio eroe, Don Qujote, e ingaggerà comiche ma fierissime battaglie per dimostrare l’evidenza del sogno nel mondo reale che vorrebbe estirparlo.

Noi morremo, signore, ma lui resterà. Le chimere restano, signore.

Dalle ferite sto guarendo, guarirò anche dal ricordo dei morti, ma dai miei sogni non guarirò né lo voglio. Non esiste che il fumo della Chimera, gli uomini tutti vagano dentro quel fumo. La tragica battaglia di cui parla il Nunzio nei Persiani esiste, nelle sue parole: è il resoconto di un drammatico sterminio. Noi ricordiamo le parole del Nunzio, che lo evocano. Ma se il massacro non fosse che la favola dolente inventata da chi la racconta? Se la tragedia di cui sono testimoni le nostre orecchie di lettori non fosse mai esistita se non nella sua immaginazione? Se solo le sue parole esistessero, sarebbe per questo meno vera?

Il mio Cavaliere dalla Triste Figura lascia la sua biblioteca, che narra di favolosi cavalieri erranti, per imporre al mondo il suo fantastico libro di avventure. Già mi prefiguro quando scenderà nell’Ade, perché l’Ade sarà la caverna di Montesinos e lì il Cavaliere resterà poche ore ma crederà di esserci stato sommerso per tre giorni e, quando verrà issato dalle funi, racconterà al fedele scudiero Sancho le sue incredibili visioni. Non vedo l’ora di narrare quel comico inferno che obbedisce alla smisurata legge della fantasia.

Si riderà del mio hidalgo maltrattato e offeso dal mondo perché vuole difendere inesistenti damigelle. Si riderà di lui e con lui, perché tutti i poeti sono irrisi e offesi e rischiano la morte per dare verità alle loro fantasie ma non si pentono mai di avere fantasticato, perché questa è la loro unica realtà. Alla fine tutti rispetteranno Don Quijote: lui sarà stato quello che gli altri cercavano di essere e non furono, meschini e noiosi notabili dell’universo reale: lui solo sarà quello che ha desiderato essere, trasformando le favolose storie degli antichi cavalieri nel regno reale del Libro che lui percorre da eroe e che io sto scrivendo con lui. Solo dalla finzione arriva l’autentica verità di noi.

E quando Quijote morrà rinsavito, nel normale finale che dovrò scrivere, non potrà, quella morte, che coincidere con la fine del libro. Fine del libro: fine di tutto. Chi potrebbe sopportare la noia uniforme di un mondo utile e ragionevole dopo che è stato traversato da Ronzinante, da Don Quijote, dal fedele scudiero Sancho Panza? La follia è feconda madre di sogni e di maschere, e il mondo è nulla nei confronti dell’utopia del libro. Anzi, non esiste che il libro perché nelle sue pagine tutto trova una magica, folle, ritmica comprensibilità, e nel teatro della scrittura si capovolge con felice ironia ogni legge. Chi, dopo aver letto il mio Don Quijote e goduto delle sue avventure fantastiche, tornerebbe a riaderire al modello del mondo, al noioso resoconto delle “cose vere”?

(Mi accorgo di essere come esaltato, vogliate perdonarmi, sono impaziente di avere già scritto il libro e di essere io il suo primo lettore. Ho anche un altro personaggio in testa, un uomo fragile che si crede di vetro, l’opposto del conquistador con la sua ridicola corazza di soldato, però quella è un’altra storia, con più dolore e meno vita).

Per ora, parlo solo del Don Quijote. Lui non è di vetro, non è certo fragile. Sporco, ferito, alto, strampalato, eroico, non si ritira dal mondo: gli si getta addosso. I mulini sono giganti da sconfiggere. Tutto è sproporzione e sogno. E non ci si deve svegliare. Le persone sveglie sono persone morte.

Oh se a Lepanto, dove fui ferito a questa povera mano, Don Quijote avesse combattuto al mio fianco! Avrebbe trasformato quei banali e gonfi cadaveri nell’esercito favoloso di diavoli sterminati da dèi potenti, e il mare e le navi sarebbero state illuminate dal bagliore di un sogno di gloria e non solo dalle fiamme dei roghi accesi dai mercenari.

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Salvador Dalì

Pablo Picasso

Gustavo Doré

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