Comunicazione pubblica di un astronomo del XIX secolo (1865).

Io, Giovanni Virginio Schiaparelli, astronomo, ho scoperto, con l’ausilio del telescopio, che sulla superficie visibile del pianeta Marte esistono dei canali regolari, disposti con mirabile armonia come raggi di figure geometriche. Già la certezza scientifica che il pianeta sia irrigato da fiumi e corsi d’acqua smantella per sempre la presuntuosa convinzione umana che la terra sia l’unico pianeta fecondo e abitato da esseri vivi. Marte, come dimostrano le mie rilevazioni, non è né un astro rossastro e sassoso né un grezzo vulcano inattivo, abitato da mostri a tre teste e da diaboliche chimere, ma, al contrario, il regno di una civiltà agricola, forse più felice della nostra, che coltiva il suolo per ottenere piante bellissime, frutti profumati e nutrimento per i figli.
Ma questa verità non mi basta. Mia certezza è che la disposizione delle coltivazioni, la rete geometrica e compatta dei canali, abbia uno scopo diverso dalla semplice sopravvivenza, e pur non potendo dimostrare questo assioma vorrei mettere in luce alcuni argomenti a suo favore, non per presunzione o dogmatismo, ma per combattere secoli di rigide verità aristoteliche.
I canali che il mio telescopio ha scoperto innumerevoli e ravvicinati formano, sulla superficie del pianeta, una mappa disposta secondo certe regole così perfette e misteriose che non possono essere solo quelle previste nel formare giardini o piantare alberi perché producano frutti. Gli abitanti di Marte involontariamente hanno creato una rete di segni tale da fare, del pianeta, una mappa leggibile da una prospettiva aerea, vertiginosamente lontana dal suolo, decifrabile almeno in parte, come labirinto di cifre e di lettere, dagli scienziati di altri pianeti. Io, Giovanni Virginio Schiaparelli, io che non ho mai avuto nessuna fede in nessun Dio e ha sempre immaginato il cimitero come un brulichìo polveroso composto dei mille e mille granelli che sono i resti dei nostri corpi, mi trovo oggi a guardare i canali di Marte come un sogno perfetto, estraneo tanto alle utopie della mente, che reinventano Leggi e Stati, quanto alle antiutopie, che sbeffeggiano la pretenziosità di quelle Leggi e di quegli Stati. Qui siamo davanti alla mappa di un alfabeto sconosciuto che avrà un senso solo se osservato e studiato dalle infinite distanze che lo presuppongono. Benché i marziani ignorino ogni senso della loro opera che non sia quello dell’utile immediato – la coltivazione -, nondimeno i segni lasciati dai canali, le righe, le linee, le curve che tracciano snodandosi sul pianeta, rappresentano le lettere di una lingua remota che nessun essere vivente ha mai né parlato né conosciuto.
Io non escludo che i canali di Marte possano, dopo attento esame, rivelarsi solo figurazioni prive di un senso intellegibile, almeno per come noi concepiamo scientificamente le forme. Eppure la mappa di questi canali, a mio avviso, è fatta di segnali utili per orientare il volo di uccelli o altre specie aeree a noi non ancora note, oppure per regolare la traiettoria dei meteoriti, le orbite dei satelliti, il movimento degli asteroidi, la musica delle stelle. La mia impressione è accentuata dalla loro geometrica bellezza: sono infatti disposti in modo da formare cifre e numeri che evocano non misteri metafisici ma calcoli precisi sulla natura sonora del cosmo – accordi ternari, radici algebriche, misure musicali. (In un punto del pianeta quasi riesco a distinguere 2 + 90 + 200 + 5, cio‚ 5292, numero sacro per Isaac Abravanel; in un altro canale leggo 7 + 77, come le sette valli del linguaggio degli uccelli; in un altro 666, il numero dell’Apocalisse; in un altro ancora 3 + 6 + 9, che sono numeri chiave, in campo musicale, del contrappunto e della fuga.)
Ma non vorrei mescolare troppi saperi. I canali sono armoniosi, come la lente del mio telescopio rivela, ma non basta accontentarsi della loro armonia. Bisogna studiarli con ostinazione per trovarvi quel significato unico e prezioso che poi, appagati dalle leggi scientifiche, torneremo a dimenticare.
L’arte di vedere, come dicono certi pittori del nostro tempo, è difficile come l’arte di leggere geroglifici egizi: ma si complica di risonanze quando un pianeta si mostra non per se stesso, ma per chi potrebbe vederlo da distanze infinite, diventando leggibile solo a uno sguardo non umano – di uccello o cometa o alieno. Oggi questo sguardo coincide con l’occhio scrupoloso e consapevole del Vostro umilissimo servitore Giovanni Virginio Schiaparelli. Niente può escludere che, domani, un attento studioso del cosmo possa vedere i canali di Marte con chiarezza maggiore di me, proprio perché il suo sguardo arriva da una distanza più grande della mia e da un tempo diverso e che, dopo di lui, un osservatore ulteriore possa definire con maggiore precisione la natura di questi segni, e un osservatore ancora più remoto, oggi non ancora nato, oggi non vivo in nessuna specie conosciuta, domani, invece, turbato dalla certezza di capire e di sapere tutto, decida di chiudere gli occhi e di non vedere né sapere più nulla.
Giovanni Virginio Schiaparelli

