

I
Le parole non dette lavorano per anni ancora, forse
tieni il gomito vicino al mio, ieri,
sul davanzale del piano rialzato minuscoli
garofani sul tavolo in un bicchiere grande.
Non bisogna guardarsi troppo a lungo, bisogna
avere paura, evitare le pause i silenzi
perché i silenzi farebbero
ripetere i garofani per colmarne la stanza e noi
non siamo pronti. Non siamo pronti a restare
nei fiori orientali, a dormire insieme.
II
Il cielo è carico di frasi impronunciate, di mancate versioni
e di pazienza incongrua, di puntini,
di puntini, di puntini.
III
Ma che cosa succede, all’improvviso
ho sentito che cominciano a tornare le parole
a una a una, le cose
che non hai detto e i falsi accenti,
la punteggiatura sbagliata e gli angoli,
gli angoli dove hai posato gli occhi allora
invece di guardarmi.
IV
Non tornerà la gloria
delle risposte esatte
aperta come una foglia, piena di nervi,
verde e non glauca, precisa
al modo di un lampo senza pioggia
e se io so descriverla dev’essere perché
in un paesaggio l’ho vista, in un sogno,
l’ho annusata, mangiata. Che succede.
Le risposte imprecise si sparecchiano ancora
in cento anni.
V
Che cosa c’è dentro
le parole che offendi dentro
la reggia della tua sintassi, poteva essere
molto più facile se invece di dire e dire, tu
mi avessi appena sbirciato.
VI
E dev’esserci un luogo dove stanno
tutte le frasi mozze e le parole scentrate
ma dev’essere un’isola, un atollo,
abbastanza lontano dai destini
solo per non spaccarli.
VII
Ancora non sappiamo tutto ciò che abbiamo detto,
la capienza degli avvenimenti, la distanza
fra nodo e svolgimento, non sappiamo
tutto ciò che abbiamo detto,
restiamo nelle camere d’aria,
negli equivoci e nelle fenditure.
Abbiamo celebrato i riti, abbiamo schiuso gli incisi,
le infinite possibilità delle pause e delle omissioni;
le false cadute degli accenti ancora
sul terreno, a pochi passi dal segno,
dalle impronte.
VIII
a R.
Devi guardare sempre in alto dentro la città,
mi hai detto a voce alta fermamente
indicando le gronde dei palazzi liberty,
non so se poi ti riferivi più alla grazia
che il cielo stringe nello scorcio fra gli attici
o alle decorazioni appena restaurate.
Non potevi sapere
che l’avevo scritto in una delle mie lettere, anni fa,
a un amico invincibile, non potevi trovare
in mezzo alle macerie la fenditura migliore.
IX
Ogni giorno rinvio
di scrivere la lettera
che dovrei ricevere da te,
perché accade che il giorno
pretenda di spedirmi la sua
con altri volti, altri asterischi.
X
Io so di te,
mi sporgo sull’attesa
riparando lo sguardo dai fulgori
con la mano,
cercando il fuoco: un nitore
che non s’imprima solamente,
ma sveli.
(2011)
*
I testi sono tratti da “Punto – Almanacco della poesia italiana 5”, 2015, Puntoacapo Editore. Le immagini sono di Piet Mondrian
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Notizia
Rossella Maiore Tamponi nasce a Tempio Pausania (OT), vive e lavora a Genova. Ha pubblicato Le camere attigue (“Il Foglio Clandestino Editore”, Sesto San Giovanni 2011 – Primo Premio ex equo Città di Piove di Sacco-Diego Valeri 2013), la plaquette Il cardine e l’apertura con l’artista Annalisa Pisoni Cimelli (Edizioni d’arte “Pulcinoelefante”, 2018), Il novantesimo grado (“Oèdipus”, 2020). Fra i riconoscimenti il I Premio al concorso nazionale di poesia inedita “Ossi di Seppia” nel 2011.Sue poesie sono presenti su diverse riviste tra cui “Arcipelago Itaca” (n. 5. 2011), “Punto – Almanacco della poesia italiana” (5-2015, Puntoacapo Editore), “Fili D’Aquilone”, “Il Foglio clandestino” (Anno XXIII, n. 84/85). Alcune traduzioni da Emily Dickinson sono apparse su “La foce e la sorgente” (n. 2 fasc. 2, 2018). Ha scritto per il teatro e per il cinema collaborando come autrice agli spettacoli “Asprotango” – diretto e interpretato da Daniela Tamponi – e “Snowflake” (ispirato al libro dell’artista Simone Sanna), e come co-sceneggiatrice al film “The man of trees” di Tore Manca (I Premio “London Eco Film Festival” Edizione 2019; I Premio “Cittadella GeofilmFestival” edizione 2020; I Premio Lazio Green Film Fest 2020).



Rossella Maiore Tamponi