*I testi sono tratti da: Gabriele Gabbia, L’arresto, prefazione di Giancarlo Pontiggia, postfazione di Flavio Ermini, L’arcolaio, 2020. La foto, in copertina, è di Alessandro Gabbia.

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IO SARÒ VOI
Io sarò voi —
i morti, tutti,
noi, voi
dopo di me,
quando
solo, soffierò
lo sguardo,
da ciascuno
di voi tutti
su ognuno
di me.
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BISBÍGLI
(…)
Poi v’è quel modo
di star dentro alle cose
– di starvi poggiato,
fra valichi e case –;
bisbígli luci salmodíe afflati,
tenui raschiano
un freddo.
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UNA VOLTA SOLA
Talvolta t’atterra ’l corpo addosso
ed è ’l cupo gorgóglio d’un verbo
mentre si vaga, per ossessioni, per
stordimenti… — tra stormi. ’l corpo –
’n ceppo – s’allontana da lo sguardo
– suo epicentro, suo traguardo – nel
candore stridulo de le cose, ove niente
impedisce la resa, la dipartita, ove la
voce s’ascolta una volta sola, mentre
tutto non torna – è diverso –: riprincipia.
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La lezione di Ernst Meister («…Si serra / a me e a te la fine…») innerva la poesia di Gabriele Gabbia, in questo libro petroso ed ellittico incorniciato dalla prefazione di Giancarlo Pontiggia e dalla postfazione di Flavio Ermini. Il lettore può usare, come guida alla lettura, il verso di Mario Benedetti, una delle tre epigrafi al libro: «…che tutto sia per la fine». Ma questa realtà “per la fine” è articolata da Gabriele Gabbia attraverso poesie filosofiche fissate in soprassalti psichici che evocano i sursauts beckettiani. Il poeta si ausculta al limite di un tacere assoluto, di un naufragio senza ritorno. «Dal suo tentativo, l’equilibrio / non perde l’abisso / cui è attratto; rattratto / eccede — aggetta, si muove / alla luce dell’ombra, ove / precipuamente si centra: librato». Come l’equilibrio non perde l’abisso, è vero anche il contrario: che l’abisso esige la sua misura, la vertigine del maelström — il suo naturale punto di quiete. «La parola che scardina / e rimuove redime» è un “segreto” manifesto di poetica.
Scrive Pontiggia: «Un canto segnato fin dalla poesia liminare come scoperta della “tragicità del vero”». Gli fa eco Ermini: «La legge della grande esistenza – propria degli antichi viventi – è tragica, arreca l’arresto, ma un arresto in cui finalmente si compie il senso della vita». Gabbia si esprime trattenendo la voce, togliendo enfasi a ogni logica poetica, realizzando un libro laconico e prismatico che irradia un’angoscia spoglia di echi biografici ma vibrante di vacillamenti cioraniani. Tutto si è già compiuto e ai superstiti non resta che fare arpeggi fra le rovine. Questi “arpeggi” sono “l’arresto” dal quale, nel buio, con voce fioca, il poeta riprincipia a parlare. (M.E.)
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA
Gabriele Gabbia (Brescia, 1981) ha pubblicato due sillogi di liriche: La terra franata dei nomi nel 2011 e L’arresto nel 2020 — entrambe edite da L’arcolaio.
