
Nella sua mostra del 1993, Intorno ad Atlantide, Luisella, raccoglie, in quella che chiama La stanza dell’architetto di Atlantide, rami, fogli, foglie, cortecce, rocce, fotografie di mari e montagne, attrezzi per il disegno, attenta esploratrice nel radunare i materiali di un percorso che non ha un inizio e non prevede una fine. Scienziata anomala di una sua utopia della trance che la porterà a vivere esperienze percettive oltre i limiti conosciuti raccoglie indizi di strutture, forme a cui sovrappone forme, in un sogno apollineo che non perde mai né la sua trasparenza formale né il suo slancio potente. La ricerca di Luisella non è mai espressionista ma pervasa da una geometria formale. Indaga diagrammi di voli, annota frammenti di versi, installa bende e veli, colleziona reperti di viaggi reali che evocano il suo viaggio interiore. Non è caso i territori prediletti da Luisella sono le zone cieche della follia, dell’erranza in luoghi remoti, dello sperdimento in paure psichiche. Atlantide è una tappa del suo viaggio nella non-ragione di costruttori e architetti che da sempre cercano la loro casa utopica sapendo di poterla trovare, senza mai trovarla, solo per avvicinamenti progressivi, illuminanti ma non risolutivi. Il procedimento creativo di Luisella non esige opere definite ma l’indefinitezza di un errare fra le forme. Scrive Giuseppe Zuccarino in Grafemi: «Come diceva Valéry, “un’opera non è mai necessariamente finita, perché colui che l’ha fatta non è mai compiuto, e la potenza e l’agilità che ne ha tratto gli conferiscono precisamente il dono di migliorare… È così, almeno che un artista libero deve guardare le cose”. E di questa libertà, l’operare creativo di Luisella Carretta offre senza dubbio un esempio emblematico».
Negli scritti e nei disegni intorno alla città di Atlantide cerca di delineare uno spazio dove raccogliere le armonie e le disarmonie degli elementi primari: terra, acqua, fuoco, aria. Lavora per frasi sospese, per alfabeti segnici: «Guardare la natura, trovare nuove forme». Atlantide è la sua città sognata, dove il rigore della ricerca formale si allea alla vertigine di un progetto impossibile, di una ricerca votata allo scacco: «le nuvole si muovono veloci // e ti sembra di essere altrove / in una città di sogno / forse quella Atlantide / da sempre cercata». Luisella cerca strutture che rispecchino la geografia di un perduto luogo ideale. Il mito della città scomparsa, dalle “mura armoniche”, perdura da secoli, e l’artista sogna regole segrete, intrecci di scritture e di immagini dove si riflettano le forme, le linee, i colori, che corrispondano al suo sogno di armonia.
Il progetto di Luisella Carretta è assemblare – con frammenti di fotografie, colori acrilici, disegni a matita, paesaggi di foglie, fuochi di carta, mappe aeree, vegetazioni, montagne – una cosmografia di figure astratte che non rimandano a niente di definito, come le tavole di un cartografo, durante un viaggio immaginario, illustrano realisticamente oggetti misteriosi.
Per Luisella Carretta parlare di Atlantide «è come disegnare pareti armonicamente collegate alla tensione di linee che partono dall’interno. I rami diventano scheletro della costruzione». La città appare all’artista luogo aperto e vivente, sempre da fondare, rifondare, sognare – luogo utopico dove visione interiore e paesaggio esterno si collegano in un felice intreccio fra segni reali e fantastici. «Come non sognare / città fatte di luce / di fili colorati / di linee armoniche / di strutture come foglie / architetture come alberi / nel piacere dello sguardo». Scrive ancora Luisella: «L’ansia, nell’atto del creare è un passaggio, ma secondo me la vera spinta creativa è il dolore: si può trasformare in una energia forte. Le ferite scoperte si liberano e si curano nell’atto creativo. Dice Louise Bourgeois: “Fare arte non è una terapia, è un atto di sopravvivenza. Una garanzia di salute mentale. La certezza è che non ti farai del male e che non ucciderai qualcuno”».

Il viaggio di Luisella nella Natura inizia da lontano, come un esercizio di concentrazione spirituale.
«Attraverso le prime esperienze d’isolamento, necessario per il mio studio sul volo degli uccelli, ho cominciato il mio viaggio spirituale in Natura. Si trattava di riuscire ad entrare in profondità per conoscere.
Negli anni ‘90 ho partecipato a progetti di isolamento con altri artisti: sulle rive del lago Mitchinamécus nel nord del Québec; nella valle glaciale di Maradalen in Norvegia e nel Deserto di Durango in Messico.
Queste esperienze si sono trasformate in momenti irripetibili sotto il profilo del piacere nella ricerca creativa, nel silenzio totale, che poi non esiste, e nella solitudine: esperienze rare. Situazioni in cui si era creata una relazione profonda con gli elementi, uno stato di estasi, di completezza e felicità insieme: la difficoltà è stata ritornare nel quotidiano».
Lo stato di estasi è, da sempre, in Luisella, la mèta da raggiungere, sia nei momenti del viaggio sia in quelli delle “pause” dal viaggio.
«Non solo il viaggio permette di raggiungere l’esperienza estrema di isolamento, ma anche la stanzialità: sono modalità opposte che possono ugualmente provocare l’apertura in una direzione creativa. Henri Michaux aveva scritto: “Si può trovare la propria verità anche guardando per quarantotto ore una qualsiasi carta da parati”. Qualche anno fa avevo volutamente fatto un’esperienza di stanzialità: lavorare per molti mesi nel mio studio per costruire uno dei miei “quaderni” dove segni e parole si intrecciavano. Il titolo era: “E nella stanza un varco”. Quindi, o mi costringevo ad entrare nel mio labirinto interiore, o cercavo di uscirne, come sfondando una parete, per aprirmi ad un mondo luminoso o oscuro, ma pieno di immagini e parole…».
I segni dell’artista sulla tela, le parole dello scrittore sul foglio, comunicano segni e parole altre che vengono da imperscrutabiili profondità. E devono farlo attraverso una sincerità espressiva inequivocabile. La menzogna trasmette solo altra menzogna, segni fasulli, parole vuote. La verità è non smettere mai il viaggio, intorno ad Atlantide come intorno alla propria stanza, alla ricerca non solo di se stessi ma dell’uscire da sé verso quel “mondo luminoso o oscuro”, di cui la mitica Atlantide è e sarà sempre simbolo.
In un disegno di Luisella su Atlantide, è visibile l’immagine armonica di un muro e la presenza simultanea delle fiamme che lo aggrediscono: da tutta l’opera emana un senso di pace, un contrasto risolto fra edificio e fuoco, fra luogo e distruzione del luogo.
(M.E.)
I testi di Luisella Carretta sono tratti da Intorno ad Atlantide (Arti grafiche Sobrero, Genova, 1992) e dalla sua intervista in “Fili d’aquilone” (gennaio-marzo 2009) a cura di Viviane Ciampi.




Questi tuoi archivi sono preziosi. Il ricordo di Luisella Carretta è ancora molto vivo. Lei amava i deserti e i vulcani, i grandi spazi e i ghiacciai. Prendeva anche dei rischi per i suoi esperimenti. Un giorno, al telefono, quando la sua salute cominciò a degradarsi, mi disse: “Il mio problema è quello di capire il momento in cui mi dovrei fermare”. Ma Luisella – persone e artista generosa – era una donna d’azione oltre che di meditazione…
"Mi piace""Mi piace"