
“Guanti, ombrelli, sciarpe
passaporti scaduti. imbracature.
testimonianze calligrafiche, una farmacia
domestica, liberano a ondate gli umon del passato.
Nell’ubbidienza e nella disciplina
gli oggetti rinvenuti aspettano
gemendo da assurdi giacigli
come amanti abbandonati”.
La petite musique degli oggetti di Emilia Barbato (Primo piano increspato, Stampa2009, 2022) smuove la percezione a soprassalti. Gli “oggetti rinvenuti”, che continuano a gemere da “assurdi giacigli”, non sono simulacri ma simboli vivi dell’emozione. Si intuisce una rovinosa, onirica leggerezza degli oggetti, immersi in uno sguardo che ne interroga la trama sottile, l’origine misteriosa.
“Più aspro
agito dall’energia dei venti,
selvatico come lavanda
lambita dal ritomo dei canneti –
l’ansito
lontanissimo chiama dalla terra.
idea inalterata di origine,
mistero, identità di isola, ombra
nera di vecchie femmine.
(…)
“Esili tessuti muovono
l’immaginario e un argo
azzurro cerchia
la calma della notte
poi d’improvviso la favola
si strappa e l’intonaco mostra
intera la sua smorfia”.

Emilia osserva il mondo come osserva la sua psiche, con malinconica commozione e geometrica fermezza. Delinea il “primo piano increspato” del suo obiettivo, trattenendo l’io in una rete di avvicinamenti e di silenzi. L’occhio fotografa immagini che nascono intime e precarie, ma definitive:
“Anima
Al lato opposto della corona,
in bianco e nero posa
nudo il pontile nellle mani dell’artista.
Le occasioni di chi ama la solitudine sono misteriose,
profonde”.
Poesia attenta e rigorosa, rifratta in molti pensieri, ma pervasa dalle folate di un’emozione estatica e lucida, onda che raccoglie ogni cosa e soffoca qualsiasi grido.
“La notte semiacerba
si caccia in una stanza
e picchia e picchia al muro
in uno stato
totale di noncuranza”.
Emilia non arretra davanti al tragico ma dal tragico, colto nelle minime crepe, inizia il suo percorso, tracciando una mappa esistenziale che sorprende per la fermezza del tono, per la solidità vibrante e sommessa dell’architettura. Le immagini descrivono l’emozione dolente del congedo ma sono, soprattutto, figure, fantasmi, sospiri segreti, voci emerse da un pontile vuoto. Il lettore può condividere, con Emilia, la speranza che nel buio si profili una strada percorribile con le parole, anche fosse solo per raggiungere un fiato, un’essenza.
“La parola è un fossile
lo scheletro di un suono che si ripiega
in un cerchio d’osso,
un’essenza vuota di zafferano.”

Maurizio Cucchi, nella prefazione al libro, scrive: “Momenti di malinconia diffusa non offuscano la complessità di un paesaggio d’assieme, che in queste sorvegliatissime pagine si pone come una sorta di impeccabile specchio”. Specchio, certamente, dove ciò che viene riflesso è la fosforescenza che fruga nel segreto della lingua e dell’uomo, come nel volo effimero di una falena: Il “verbo remoto” che ne resta è una scia sospesa fra fumo e suono.
“Dallo scrittoio la lampada
memore di una fosforescenza
fruga nella povere un verbo
remoto, ma nomina appena
le orbite di una falena, il peso
irrisorio dei suoi resti”.
(M.E.)
Emilia Barbato è nata a Napoli nel 1971 e risiede a Milano. I suoi testi sono apparsi in diverse antologie, sulla rivista “Il Segnale”, “Poezia” di Bucarest, “Immaginazione” delle Edizioni Manni e sull’”Aperiodico ad Apparizione Aleatoria delle Edizioni del Foglio Clandestino”. Geografie di un Orlo (CSA Editrice, 2011) è la sua prima raccolta. Seguono Memoriali Bianchi (Edizioni Smasher, 2014) Capogatto (Puntoacapo Editrice, 2016), Il rigo tra i rami del sambuco (Pietre Vive Editore, 2018), Nature Reversibili (LietoColle, 2019), Flipper (Officina Coviello, 2022), Primo Piano Increspato (Stampa2009, 2022).

In tempi di sfacelo, protagonismo e rapacità, la poesia di Barbato tenta di saltare il dato autobiografico per universalizzare le emozioni. E assume la decadenza come categoria perenne di lettura del reale. Non é poco.AP
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Ringrazio Marco per il tempo dedicato alla lettura dei miei versi e per questa sua bella recensione.
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Ringrazio Alessandra le cui parole mi onorano e rendono felice.
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