
Recuperare e custodire la musica prodotta nei Campi di concentramento e nei luoghi di cattività civile e militare è l’impegno che persegue da più di trent’anni il pianista e compositore Francesco Lotoro. Una ricerca instancabile e totalizzante di cui il Maestro Lotoro ci parla nel suo Un canto salverà il mondo edito di recente da Feltrinelli.
“La musica proliferata nei Campi – scrive Francesco Lotoro – è incalcolabile in numeri e valore, le oltre ottomila partiture sinora recuperate potrebbero un giorno rivelarsi solo un frammento di quanto creato nei più di vent’anni che passano dall’apertura del Lager di Dachau alla chiusura del Gulag della Kolyma”1.
Più di ottomila partiture. Un patrimonio che è il testamento spirituale di uomini e donne che si sono donati senza riserve per ribaltare l’inumanità dei Campi e riappropriarsi di quella dignità e di quell’anima che il Campo voleva annientare.
La musica, dunque, per ricostituire la propria identità. Perché è affidandosi alla musica, diventando musica, che ci si protegge e ci si salva. Che ci si salda gli uni agli altri. Come succede, per esempio, nel Campo di Theresienstadt, con l’opera per bambini Brundibár composta nel 1938 da Hans Krása e rielaborata e riorchestrata dallo stesso Krása nel Campo di Theresienstadt dove nel 1942 fu deportato. Un’opera interpretata dai bambini per i bambini. In cui ci si salda gli uni agli altri attraverso il canto e le note degli strumenti musicali. In cui ci si affida interamente alla musica per diventare musica, ossia per essere quell’identità che non può essere sottratta o annullata. Lo sapeva bene questo anche Viktor Ullmann che a Theresienstadt scrisse oltre a numerosi Lieder l’opera Der Kaiser von Atlantis “una delle opere più inquietanti del Ventesimo secolo, punto nodale della più avanzata modernità al pari del Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg o dell’Histoire du soldat di Igor’ Stravinskij”2
Musica e creatività che non si arrestano, che non si arrendono, ma che, anzi, attecchiscono e crescono diventando spirito e identità di chi componendo musica ha ricomposto se stesso, uno spirito e un’identità che travalica il confine del Campo e del Tempo arrivando ad illuminare la nostra coscienza con una luce che è duplice consapevolezza. La prima, che noi siamo saldati alle partiture create nei Campi esattamente come lo erano gli uomini e le donne che le hanno create. E la seconda, che noi siamo saldati, ci saldiamo, attraverso quelle note agli uomini e alle donne che le hanno pensate e eseguite proprio come quegli uomini e quelle donne nei Campi erano saldati gli uni agli altri. Una continuità che ci rende ed è Umanità piena. Che dà eticità al Tempo e ne riscrive eticamente la Storia.

Saldarsi per essere Umanità piena. Per salvarsi. Ma perché questo accada la ricerca non può fermarsi ai soli Campi di concentramento o limitarsi al 1942-1944, gli anni in cui è stato raggiunto l’apice della produzione della musica concentrazionaria. Per essere Umanità piena la ricerca va e deve essere ampliata. Cominciare nel 1933 con l’apertura di Dachau e continuare fino al 1953, l’anno della morte di Stalin. E poi estendersi ai Gulag e alla musica creata non solo da musicisti ebrei ma anche da non ebrei, o ancora dal popolo rom o dai banduristi ucraini.
Una ricerca e una raccolta capillari che per quanto siano preziose e fondamentali da sole non bastano. Perché se è vero che “la musica scritta in prigionia e deportazione ha superato i test più severi del tempo inesorabile e della Storia”3 e che “pochi altri lasciti testamentari come questa letteratura ci renderanno immuni da qualsiasi sciagura intellettuale per traghettarci verso un’era che metta al centro degli interessi individuali e collettivi l’uomo, la sua dignità e la sua imparagonabile capacità creativa e costruttiva”4, è anche vero che occorre avere cura di questa musica e con lei dell’Umanità. Occorre custodirla per assicurarne di entrambe l’esistenza.
Per questo il Maestro Lotoro nel 2014 crea nella sua città, Barletta, la Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria (https://www.fondazioneilmc.it/), un archivio unico al mondo per conservare questa immensa eredità e una base per i progetti e le operazioni di recupero e salvataggio della musica prodotta in cattività.
L’operazione di recupero più recente? Il riversamento in digitale e la stesura in partitura della Sinfonia “Rêve de France” scritta dal direttore d’orchestra e compositore Maurice Soret durante il suo internamento presso lo Stalag IIIA Luckenwalde come prigioniero di guerra francese (per conoscere nel dettaglio questo progetto di recupero e volendo partecipare alla sua realizzazione si segnala il sito: https://www.fondazioneilmc.it/post/rêve-de-france-appello-per-ridare-vita-a-una-sinfonia-perduta).
E sempre a partire da qui, da questa Fondazione, il progetto della Cittadella della Musica Concentrazionaria, una casa per la musica concentrazionaria e per l’Umanità tutta che sorgerà sui residui della ex Distilleria di Barletta e che verrà completata nel 2025.
Un progetto dal valore incommensurabile e straordinario come straordinaria è la vita di Francesco Lotoro che ha fatto da sempre della sua esistenza una casa per l’anima e le partiture di tutti i musicisti che ha cercato e di quelli che ancora sta cercando. Per farci dono del loro canto, l’unico che può mostrarci la via della salvezza, che può salvarci.
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– Francesco Lotoro, Un canto salverà il mondo, Feltrinelli, 2022
1 Un canto salverà il mondo, cit, pag. 10
2 Un canto salverà il mondo, cit, pag. 50
3 Un canto salverà il mondo, cit, pag. 263
4 Un canto salverà il mondo, cit, pag. 263
