NON SEMPRE RICORDANO. Patrizia Vicinelli

Questo libro che vi presento stasera (non sempre ricordano), è un poema epico che si struttura in otto capitoli e raccontano una storia precisa. Si parla di mito e si parla di colpa e innocenza. C’è chi pensa che le due cose siano inconciliabili, perché colpa e innocenza sono una certezza ma non è vero. In realtà a livello più profondo e di analisi, e quindi dal punto di vista esoterico, il conflitto tra colpa e innocenza è sempre una svista. Non c’è mai questo problema davvero, quindi alla fine colpa e innocenza sono parole assurde. Perché questo libro inizia con “tuonavano” e tratta di dei, di morti, di eroi perché ci sono due modi di intervenire sulla realtà quando si ha a che fare con la colpa e l’innocenza. O un modo brutale, che ripete ancora di più la colpa e l’innocenza, che incide realisticamente come un atto di brutalità; o altrimenti si va alle radici più profonda di sé in maniera pavida e ancestrale e si trovano le ragioni di tutto quello che sta succedendo. E quindi ci si placa.

Per questo c’è un mondo superiore e un mondo inferiore, paradiso e inferi, e la realtà che è poi carcere, è la gente ammazzata a colpi di elettroshock. Non è un apriori; mentre le cose succedevano eravamo succubi. Ma per essere nel mondo in modo attivo, bisogna trovare un senso per dire le cose lo stesso. Lo scrivere, infatti, riguarda il dare: e avere uno scrigno pieno è avere il desiderio di dividerlo con amore. Ma se rimane troppa rabbia, non si riesce a dare di più e ci si tiene quei tesori per sé. Il mito serve molto a questo senso perché dà una dimensione oggettiva, che va al di là delle storie personali e potenzia.

Il mito è quello che ti risolve tutto a livello della tua intelligenza creativa. Va al di là dei fatti, per cui ogni cosa è plausibile e tu esci sempre vittorioso. Vittorioso in qualche modo, ma nel mito c’è questa meravigliosa meccanica che ti offre una grande interiorizzazione del fatti. Non considero il mito alla maniera di Conte ma è certamente una fonte. Io uso il linguaggio in un altro modo, e mi rendo conto che manca una terminologia intellettualistica. Ma qui si tratta di vita.

Se parlo di Dante e parlo di Pound, è gente che vive completamente fino alla malafine. C’è un bel po’ di vita. E non intendo quello che si fa concretamente: si può fare anche l’impiegato, come Kafka, ma vivere come lui in maniera totalmente drammatica. Questi miei otto capitoli, che poi erano 10. Ma due non mi sono stati pubblicati -perché era poesia viva, pubblicarmi costava e il mio editore non aveva abbastanza denaro- sono stati scritti prima che conoscessi la prigione, ma l’inconscio parla sempre e parla e parla. Tu hai visto o non hai visto ma hai sempre visto tutto…

(Modena, 28 gennaio 1986)

L’intervento di Patrizia Vicinelli è tratto da “L’abito della chimera”, a cura di Carlo Alberto Sitta con la collaborazione di Maria Luisa Vezzali e Bianca Garavelli (Laboratorio di Poesia di Modena 1979-1989.

**

Attraversare il fiume

Come un’altalena, come un arcobaleno, il penetrare in alto e in basso, colorato, a croce lui
ripete l’andamento. Interiorizzato l’abisso
è una struttura dell’essere, egli si strazia nell’immerso come nella sua pratica, il solito.
Prendere in mano la sorte del suo destino e integrarlo
e diventare l’agognato essere dei sogni, a picco la luna sulla mente
non smette di influenzare. Morbi
scattanti angustiano, ed è una morsa di ferro ma il principio non è dimenticato,
neppure la lotta, neppure la resa, neppure
l’incessantemente corso
di questo fluire di questa vita di questo cosmo, a paragone.
Nella chiusura e nell’apertura, si schierano i miopi
cercatori, s’immergono nei pozzi oscuri e scattano come risucchiati verso le stelle, dopo
una stanchezza che pareva già morte.
Sempre il tempo per ognuno ha finito di scorrere, quando giunge la luce
non somigliò a nessun sentimento
o a quelle forme conosciute
di cui si ammantava piuttosto un’istantanea mentre un cavallo s’era fermato sotto la luna.
Disse che anche la poesia andava detta
in un altro modo, perché servisse ad altre schiere, e perché diventasse movimento attivo
senza ritorno, ogni volta che il desiderio avesse preso una forma e il dominio. Immerso in un’oscurità da utero, seppe
che era una scelta e non più una condizione e
se ne stette rincattucciato senza temere,
come un bambino sempre più goloso, ma di senso. Vide le nuvole cadere precipitando
in quell’universo finalmente statico, guarda
per ore tutto ciò che vuole, inventando schemi come un mago con la sua bacchetta.
Deve dormire, nel sonno crea il suo paradiso, lo fornisce di dettagli e consistenza,
ricorda che era come tessere,
fare tutt’uno del destino con la vita.
Ebbe buoni maestri, nel campo dello spirito. Tutto l’assillo e il procrastinare furono dovuti
a una sorta di concupiscenza, sempre quella,
e nominarla passione, dove il corpo può immergersi fa il suo tremendo mestiere il corpo arricchisce
la mente nel suo modo possibile e migliore. L’infermità accumulata nei centesimi del tempo di attendere sembrò irreversibile
e solo dopo l’invincibile rinuncia
se lo permise di godere scavalcando così i suoi resti riemergenti allora in nuova energia.
Quella calma è una struttura interiore, da lì
fu possibile dettare ordini alla mente e rinforzare i sigilli della propria unità.
Così la forza forma la sua melodia come di un uomo che ha finito di sperare
e che ha iniziato a dominare, poiché la sua anima ha visitato gli opposti.
Le creature così vaganti da impazzite, quasi mai raggiungono la riva, quasi mai infrangono lo specchio,
raramente congiungono a sé la propria sorte, perché non si danno pace, oppure non si fermano. Intanto Orfeo conduce al di là dei sassi
la sua fede rovente e si chiede perché,
questa paura smisurata ancora una volta abbandona il mondo tu se lo accetti quel lago immenso
della solitudine, la condizione, la condizione.
Querce immobili in quei momenti fremono senza vento batte il loro alito su altre menti in consonanza.
Mai diviene certo cosa risulti,
la grande ansa del desiderio abbattuta la diga dell’immenso fiume abbattuta,
luogo in cui queste parole sono proprio inutili, tenendosi dritto Orfeo in compagnia della sua ritrovata anima, cellula per cellula eretto
un androgino pieno d’orrore e di risentimento,
si lasciò percorrere al di là della sua storia avendo raggiunto la superficie del pozzo, ma sì, sotto quella calma sotto le stelle in alto,
pace disse sperava, e un’aria improvvisa di sera tranquilla.
Tremanti quelli come lui ancora dentro quei loro corpi a lungo vissuti, essi piangenti si cacciano
la stella famosa in fronte, come lui proseguirono
piano, finalmente senza più temere.
Sì il timbro dell’inutile veniva da ridere sommessamente a tutte quelle rincorse sul bello
e quanto si trovò colmo di esso come un pastore
dicendo come è passato e come è mio, la coincidenza dell’essere, e quanto si trovò colmo del senso,
mentre se ne andava in un lontano fermo e rinunciando alle sue speranze.
Essa stava lì nel centro cuore bollente aurora, da non fermarla, ecco il rischio inevitabile,
il cammino già dato.
Così da lontano vedeva la sponda, anche tutto quello che c’era nel mezzo.

**

… QUELLA VOLTA FU PIU’ DIFFICILE, PER NON
DIRE IMPOSSIBILE, PROIETTARE
Come freccia bolla di sapone soffio di vetro
[…] FINO A SCOPPIARE con la cannuccia fra le guance,
APOTEKE: “prego, un’ampoule De Lagrange”
I francesi dicono: “un’ampoule de maxiton
fort”, una certa droga diabolica di 350 anfé,
con cui, après la chute, sali mezz’ora,
hai tempo di intervistare i cherubini,
come quello: … certo Benito G. mexicano
e poeta finito a colpi di shock elettro
anche! terapy in Tangier, anno 71…
come quello: … sbattuto in Baltimora
lontano almeno 550 miglia in altezza …
disse: “HIGHT! C’est pas le moment:
CO PEN GA MEN… my friends, please…
come quello: … certo Gian Pio T. modenese
[…] INFINE, come quella volta, he need help
PROIETTARE, partorito dalla mente, il
SAMURAY, la sua splendente fiammeggiante
scimitarra alla mano,
sospesa in sfera vuota e incolore.

**

Patrizia Vicinelli (Bologna 1943-1991) nasce a Bologna. Giovanissima, entra a far parte del Gruppo ’63 durante il convegno a La Spezia del 1966. Figura carismatica, aperta alla sperimentazione, il suo mantra ricorrente era “vita uguale opera”. Vicinelli esegue performances di poesia orale e scrive per AlfabetaMarcatréExQuindici. Collabora e si confrontava con Emilio Villa, Adriano Spatola, Franco Beltrametti. La sua prima opera scritta, E capita, è pubblicata nel 1962 sulla rivista Bab Ilu, fondata nello stesso anno da Spatola. Patrizia si dedica anche ad altre discipline artistiche e incontra il cinema attraverso Tonino de Bernardi, Claudio Caligari. La sua poetica spazia attraverso influenze ed espressioni poetico-visive con prodotti artistici esposti in tutto il mondo: Milano, New York, Tokyo, San Francisco, Venezia, e i suoi artefatti fonetico-sonori sono disponibili sotto forma di registrazioni. Muore di  AIDS nel 1991. Opere: à,a.A,  Lerici, 1967; Apotheosys of schizoid woman, Tau, 1979; Non sempre ricordano, Ælia Lælia Edizioni, Parma, 1986 (ristampato con altri testi in Non sempre ricordano. Poesia Prosa Performance, Le Lettere, 2009).

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...